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Peppino Ortoleva, Dal sesso al gioco.




 
Peppino Ortoleva


Dal sesso al gioco.

Un’ossessione per il XXI secolo?




Espress edizioni
(collana Tazzine di caffè),
Torino 2012,Euro 6,90
ISBN 9788897412335


«Dal sesso – per alcuni aspetti ossessione e per certi altri elemento propulsivo della cultura del ‘900 – stiamo forse passando al gioco, tema ricorrente o forse nuova ossessione per il secolo che è da poco cominciato? Dopo una “sessualizzazione” del mondo ci possiamo aspettare un processo di ludicizzazione?»

Ci sono aspetti dell’esistenza che, seppure essenziali per l’umanità, sono stati lungamente confinati in sfere circoscritte, ben separate dagli spazi e dai tempi della vita pubblica. Poi, quasi improvvisamente, in determinati periodi storici, per una convergenza di fenomeni tra loro eterogenei, sono riusciti a valicare i muri divisori e si sono infiltrati sulla scena, fino a conquistarne il posto centrale, quello del protagonista. E, da questa posizione privilegiata, hanno cominciato a determinare il costume, la gerarchia di valori, l’orizzonte culturale di intere società, contribuendo a plasmare in maniera sostanziale la rappresentazione che l’uomo ha di sé. Peppino Ortoleva in Dal sesso al gioco. Un’ossessione per il XXI secolo? sostiene che nell’attuale presente, cominciato, a suo parere, negli anni ‘80 del ‘900, sia il gioco a stare compiendo un simile itinerario. Lo studioso, in questo recente saggio, propone un’ipotesi foriera di suggestioni e capace di dischiudere un’interessante prospettiva ermeneutica sulla nostra contemporaneità: se, in pressoché tutto l’emisfero occidentale, una capillare e ridondante “sessualizzazione del mondo” ha contraddistinto il XX secolo, la ludicità sta “diventando sia concretamente sia simbolicamente una chiave di volta del vivere comune” per il XXI (p. 14).

In effetti, come sottolinea lo stesso Ortoleva, la componente ludica risulta da sempre imprescindibile tanto dall’evoluzione dell’intero genere umano nel suo complesso, quanto dallo sviluppo psico-fisico di ciascuno dei suoi individui. L’homo ludens è anteriore all’homo faber. Nel gioco l’essere umano comincia a stabilire un contatto con la realtà, a esplorarla e, al contempo, a inventarla. Attraverso questa misteriosa pratica, che ripropone pressoché immutati i suoi schemi a ogni nuova generazione, la più straripante immaginazione accompagna il soggetto nella sperimentazione dei propri limiti costitutivi e nella conoscenza del suo, sempre mutevole, posto nel mondo. Richiamandosi a Jerome Bruner, Ortoleva sottolinea come il gioco sia “caratteristico di un modello di evoluzione diverso da quello delle altre specie: nasce dall’incompiutezza caratteristica dell’umanità, dal nostro essere ‘una specie non bene assestata’. La ludicità gioca proprio con questa incompiutezza, in parte per colmarla ma in parte per esaltarla” (p. 116). Il gioco dunque contiene in sé un paradosso, si rivela un’attività intrisa di contraddizioni e irriducibile a qualsiasi logica strettamente razionale: dinanzi all’impossibilità umana di controllare completamente e definitivamente la situazione, esso ricorre alla fantasia per creare possibilità del tutto inattese, per produrre nuovo reale. E, così facendo, contribuisce al processo umano di adattamento. Ma, come mette acutamente in evidenza l’autore, il gioco è una forma di adattamento complessa perché si concretizza in un duplice movimento. L’evasione in un “ambiente che non c’è” (p. 119), suscitata dall’esercizio dell’immaginazione, trova nel vissuto concreto la sua controparte, da cui attingere materiale e a cui sempre ritornare. La ricchezza dell’esperienza ludica rivela quindi le sue potenzialità proprio nel ricorrente andirivieni dall’universo reale a quello immaginario e nell’intreccio dato dalla reciproca attribuzione di senso di queste due sfere. Ortoleva a tale riguardo osserva: “Nella ludicità umana la potenzialità adattativa è inscindibile dalla capacità di de-realizzarsi: l’adattamento avviene inventando un mondo, la de-realizzazione è essenziale per dare un senso al reale” (p. 124). Insomma, secondo lo studioso il gioco diviene risorsa quando, grazie all’impiego della sua meccanica paradossale e della sua attitudine plastica, rende la realtà un luogo a cui non ci si deve semplicemente e passivamente adeguare. Tuttavia, affinché ciò si concretizzi, non bisogna intaccare la “matrice anarchica” che gli è peculiare. L’unico vincolo che è in grado di rispettare senza snaturarsi è infatti quello che proviene dalle regole che ne sanciscono l’attuazione e la conseguente buona riuscita. Asservito a un fine che lo prescinde e privato della sovrana incontrollabilità delle sue manifestazioni, esso invece non ha più la capacità di colorare di senso alcunché.

Ora risulta interessante comprendere le modalità attraverso cui la ludicità - refrattaria, come abbiamo detto, al conseguimento di qualsiasi utile - espleta quella funzione di “chiave di volta” della società contemporanea che Ortoleva le attribuisce. A conferma della sua ipotesi lo studioso propone esempi attinti da vari ambiti della nostra società. Prende in considerazione la diffusione dei casual games installati sui telefonini e delle varie forme di gioco d’azzardo, ma anche degli ormai popolarissimi video-game e di tutta quella comunicazione “semiludica” che è veicolata dai social network. Sofferma la sua attenzione sull’attuale incremento tra la popolazione adulta dei giochi di mascheramento e di vertigine - i riferimenti per la definizione dei tipi di gioco provengono dagli studi compiuti da Caillois e da Vygotskij - , precedentemente praticati, salvo in alcune circostanze eccezionali, quasi esclusivamente dai più piccoli. Analizza poi il dilagante fenomeno della “gamification”: termine con cui si indica l’applicazione della struttura peculiare ad alcuni giochi collettivi per situazioni e relazioni sociali che non hanno nulla di ludico (nelle aziende, nella ricerca scientifica e persino nel settore militare). Dedica alcune pagine del libro ai risvolti metaforici che il gioco sta assumendo sempre più frequentemente nella rappresentazione delle nostre vite. Ma, ed è questo il punto cruciale del suo discorso, insiste soprattutto sul fatto che la dirompente ondata di ludicità attualmente riscontrabile non abbia un carattere meramente quantitativo e che essa si riveli innanzi tutto di tipo qualitativo. All’espansione pluridirezionale del gioco corrisponde, a parere di Ortoleva, la dissoluzione di quella linea di demarcazione che per secoli ha separato il suo “spazio puro” dal mondo serio della realtà concreta, il tempo libero dello svago dal tempo consacrato all’attività lavorativa. Ecco allora che “sembra delinearsi una sorta di vastissima area grigia, un’area intermedia tra ludicità propriamente detta e vita reale” (p. 94).

L’abitatore di tale limbo è l’homo ludicus, ovvero colui che si avvale del bagaglio di esperienze e dell’approccio alla vita dell’antico homo ludens in “confini diversi e in parte arbitrari” (p. 94). La fisionomia di questo soggetto esordiente risulta connessa tanto all’impiego delle nuove tecnologie, quanto all’attuale organizzazione dei processi produttivi. Tuttavia la sua collocazione è problematica, non facilmente determinabile: da una parte appare paradigmatica dell’odierno scenario economico e sociale (e funzionale al suo stesso equilibrio), dall’altra, forte della capacità del gioco di racchiudere in sé le contraddizioni, sembra situarsi lungo una linea di fuga. La distaccata giocosità frequente in molte relazioni, soprattutto in quelle virtuali, si pone infatti assolutamente in accordo con una società atomizzata come la nostra. Inoltre il gioco spesso sta diventando una vera e propria forma di rifugio o “lo strumento di costruzione di identità provvisorie o non impegnative” (p. 129), in particolar modo per le generazioni più giovani, che maggiormente risentono di una condizione di precarietà generalizzata. Però, all’interno di numerosi contesti, la ludicità, permettendo di investire di significato situazioni che altrimenti sarebbero insostenibili, assume un carattere compensativo o, in alcuni casi, crea addirittura possibilità alternative, seppure spesso inconsapevoli. In sostanza, il gioco, a causa della sua congenita “inutilità”, non si rende fino in fondo disponibile alle applicazioni produttive cui pure il capitalismo lo sta destinando. Resta a tale proposito ancora da chiedersi se, nella presente realtà socio-economica, la tendenza del gioco (soprattutto, evidentemente, del gioco d’azzardo) a valorizzare la ricchezza in quanto bene da “perdere” - tendenza alla quale Ortoleva accenna facendo riferimento a Georges Bataille - assuma davvero un carattere di rottura rispetto alla logica capitalista dell’accumulazione o se invece non riveli una più intima sintonia con la sua recente trasformazione in senso finanziario.

È, comunque, proprio la posizione ambivalente della nuova ludicità rispetto all’ordine dominante, al contempo, di integrazione e di irriducibilità, ad apparire agli occhi dello studioso uno degli aspetti di maggiore continuità tra l’attuale modello dell’homo ludicus e quella del suo immediato predecessore, l’homo eroticus. Lo studioso mette infatti in evidenza come già la rivoluzione sessuale novecentesca, esaltando il ruolo delle pulsioni e, in particolare, del desiderio, abbia compensato e modificato “un’immagine tutta meccanica dell’essere umano appendice dei grandi sistemi tecnici. (…) Ha erotizzato il mondo proprio mentre l’espansione del modello capitalistico la stava mercificando” (p. 64). Per tutto il XX secolo, e in parte ancora oggi, l’apologia della consumazione sessuale ha dunque offerto un’alternativa alla logica tutta calcolante dell’homo oeconomicus, pur non esitando a usare e/o a farsi usare dall’onnivoro e indiscriminato consumismo delle merci che questa figura ha imposto (e pur condividendone, in maniera peraltro analoga al gioco, la sua etica edonista). Ortoleva dunque, per meglio tematizzare la complessità di tale processo di “sessualizzazione del mondo”, dedica parte del libro all’individuazione delle sue tappe più significative. L’analisi parte dalla constatazione che sono due le correnti, complementari ma distinte, che hanno maggiormente contribuito alla determinazione dell’intero sviluppo: “quella mitica della liberazione e quella, in parte conoscitiva e in parte voyeuristica, della scoperta” (p. 23). Se in alcuni momenti sembra aver prevalso l’idea che la liberazione sessuale avrebbe contribuito alla realizzazione di una più radicale emancipazione politica dell’umanità dalla servitù e dallo sfruttamento, in altre fasi è stato il convincimento che negli impulsi sessuali sia inscritta la verità più profonda del soggetto ad avere accompagnato la disinibita esibizione dell’erotismo sulla scena pubblica. Da questo punto di vista, come ricorda giustamente l’autore, la pubblicazione dei Tre saggi sulla teoria sessuale di Freud, nel 1905, davvero inaugura il ‘900. È difatti a partire da quest’opera che si è andata costruendo l’opinione del “sesso come universo da scoprire e allo stesso tempo come via per arrivarci. Il sesso pensato e parlato come filo per arrivare al gomitolo del sesso vissuto” (p. 39).

Tuttavia il movimento di disvelamento della sfera erotica sembra infine giunto a uno sterile ripiegamento su stesso. L’ostentazione della nudità non ha più alcuna verità da consegnarci, né probabilmente più alcuna rivoluzione da evocare. Come già presagiva Susan Sontag in un fondamentale saggio del 1974 menzionato dallo stesso Ortoleva, il sesso, “nella sua forma più pura, separato cioè dalla persona, dalla relazione, dall’amore” (p. 65), si riduce a una rappresentazione di corpi trasformati in vuote maschere e decontestualizzati da qualsiasi narrazione - il gonzo style nella recente pornografia costituisce una palese manifestazione di tale inclinazione alla “letteralizzazione”. Ma se la dimensione erotica ha smarrito quella “forza mitopoietica” che per lungo tempo le ha permesso di compensare, e talvolta persino di contrastare, l’appiattimento omologante del capitalismo, ad accorrere in suo soccorso compare proprio il gioco. La capacità di quest’ultimo di impregnare di significati inediti delle situazioni divenute fin troppo ovvie può fornire infatti al sesso la possibilità di svicolare dall’impasse in cui si è ficcato: “Da uno stile di sessualità centrato ossessivamente sulla ricerca immediata della gratificazione (…) si passa all’adozione via via più diffusa di modelli ludici, per creare nuovi riti del corteggiamento, della passione e persino del matrimonio; per deletteralizzare l’incontro, per dargli un significato ulteriore, per inserirlo in una modalità di socializzazione più articolata, arricchita da una varietà di metamessaggi” (p. 74). Esemplare a tale proposito appare il caso dei siti d’incontro in rete. In un mondo in cui tutto si vede e tutto si può, il solo uso della fantasia riesce a infiammare un erotismo completamente incorporeo, astratto da qualsiasi riscontro concreto.

Quale valore poi attribuire a questo sempre più consistente e variegato contributo del gioco nelle relazioni umane, Ortoleva si astiene al momento dal dirlo. Lo studioso, coerente con quanto annuncia nella premessa del libro, preferisce non esprimere giudizi su un fenomeno che indubbiamente necessita di essere ancora in gran parte analizzato e compreso.