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Italia terra degli orrori

 

1. Orrori

Immaginare un percorso attraverso gli orrori del paesaggio italiano non è purtroppo difficile e sta diventando quasi un argomento di moda e di successo: parlare del territorio in termini apprensivi e preoccupati oggi fa parte integrante del meccanismo populista di controllo dell'opinione. Mi riferisco soprattutto a chi, nel denunciare le brutture e gli abusi commessi in Italia, cerca di apparire vicino ad uno spirito ambientalista che ispiri simpatia e consenso.

Se questa moda ecologista esiste, e impregna tanto le sedicenti produzioni biologiche o verdi quanto i nuovi piani urbanistici ambientalisti o naturalisti, essa continua tuttavia a non portare nulla di concreto, perché resta un atteggiamento, un chiacchierare spesso vano di cose importanti sulle quali poi non si interviene: lettere morte.

Sull'ambiente, o meglio sul paesaggio, esiste un articolo della Costituzione, il citatissimo numero 9, “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, al quale fa riferimento diretto tutta la legislazione in materia. Nei programmi dei governi la difesa del paesaggio-ambiente è stata sempre presente, ma mai seriamente attuata. É ben noto che in Italia le leggi ci sono, ma non vengono osservate.

Per riparare i danni dovuti alla non osservanza delle leggi, in materia urbanistica è stata inventata una legge del perdono, che incredibilmente non ripara il danno, ma il danneggiatore; il condono edilizio è tra le più aberranti ed originali invenzioni del nostro paese, del tutto indecifrabile per i cittadini degli altri paesi occidentali. Se ne è occupato in particolare l'urbanista Paolo Berdini, che descrive come “una sconfitta dei presidi pubblici sul territorio a tutela del paesaggio e dei beni culturali” i tre condoni edilizi decretati nel 1985, nel 1994 e nel 2003. Di fatto, il condono mantiene il presupposto dell'abusivismo e, nel suo ripetersi, diventa un'ipotesi credibile per quanti agiscono sistematicamente nell'illegalità.1

Come scrivono i nostri maggiori esperti del settore, nel dopoguerra l'Italia ha vissuto un'unica breve fase di “buon governo” urbanistico, anche se solo a livello regionale, all'incirca intorno agli anni Settanta, preceduta dal pessimo governo degli anni Cinquanta e Sessanta e seguita dal devastante e acefalo liberismo del potere berlusconiano. Edoardo Salzano, urbanista sul campo e teorico, negli anni Novanta ha creato il termine di urbanistica contrattata per descrivere quel patto scellerato intercorso tra pubblico e privato, vale a dire tra gli enti comunali e i grandi proprietari immobiliari. Va aggiunto che i governi di quegli anni permisero ai Comuni di intascare e gestire liberamente gli introiti delle tasse di urbanizzazione (in precedenza destinati solo al loro scopo primario). Gli orrori costruiti per causa di tutto questo non sono soltanto orrori come qualità, ma anche innumerevoli come quantità: Legambiente ha calcolato che tra il 1995 e il 2009 in Italia – paese che non aumenta di popolazione - sono stati realizzati 4 milioni di abitazioni, per oltre 3 miliardi di metri cubi di cemento.


 

2. Ambiente e Megalopoli

In italiano si usano spesso le parole ambiente, territorio e paesaggio come sinonimi; ciò che le unisce sarebbe il non essere città. Sinonimi non sono, ma quasi: il territorio connota maggiormente lo spazio dell'uomo in relazione al suo utilizzo, uno spazio tattile; il paesaggio è più uno spazio libero dall'uomo, uno spazio visto; l'ambiente è forse la somma dei precedenti. A differenza che nel linguaggio comune, tuttavia, la normativa ha spesso distinto paesaggio e territorio, a partire dalle leggi emanate in epoca fascista e fatte proprie dalla Repubblica italiana, la cosiddetta legge Bottai sui beni culturali del 1939 e la legge quadro per l'urbanistica del 1942, e poi con tutte le loro varianti e aggiornamenti. Solo in epoca recente si è capito che i termini territorio, città e patrimonio culturale non sono scindibili, ma a livello legale non s'è fatta chiarezza, alimentando il sospetto che la confusione normativa sia di fatto lo strumento migliore e più rapido per non adeguarsi alle leggi.

Legiferare per la tutela del territorio è importante, darne una sintesi attraverso dati e cifre è ugualmente importante (ne parleremo più avanti a proposito del catasto), ma ancora più importante è pensare al futuro, cioè prevederne e guidarne l'evoluzione. La Pianificazione Territoriale, disciplina professionale e universitaria, consiste nel “ … realizzare, a livello sia teorico che pratico, un complesso interrelato e razionalizzato di scelte insediative, al fine di strutturare lo spazio in modo tale che si determini un armonico equilibrio tra popolazione, risorse produttive e ambiente fisico” (dalla voce enciclopedica della Treccani). Questo armonico equilibrio è forse un miraggio, ma certo la presenza di tanti orrori in Italia sembra negarne persino l'enunciazione. Il mestiere di urbanista o di pianificatore è un mestiere cardine nello sviluppo delle società occidentali, ed il vero problema è la sua frequente assenza nelle compagni politiche o il suo essere relegato al ruolo di tecnico e non di amministratore. Un buon urbanista-pianificatore deve avere competenze tecniche in materia di costruzioni e insediamenti, e deve avere competenze sociali per quanto riguarda l'analisi dei comportamenti, lo studio dei servizi, le statistiche dei cittadini, ecc.

Il Ministero dell'ambiente in Italia si chiama per l'esattezza “Ministero dell'ambiente e delle tutela del territorio e del mare” ed è, vedi caso, uno di quei ministeri di cui non si parla mai e che tende ad essere assegnato per questioni di equilibrismi politici.I governi non se ne accorgono, ma la struttura del territorio cambia. Preannunciata dai tecnici del settore, l'identità tra il centro abitato e la campagna urbanizzata è oggi sotto gli occhi di tutti. Quella parte del nostro pianeta che serviva e serve a fornire di cibo i suoi abitanti, tramite l'agricoltura e l'allevamento, oggi in occidente è fortemente integrata con la città e per buona parte ne è diventata una sorta di appendice. Parliamo allora di territorio e basta, suddiviso in territorio urbano (la vecchia città), urbanizzato (la vecchia campagna) e non urbanizzato. Ma c'è un altro dato evidente per tutti, tranne che per le amministrazioni pubbliche: la città isolata non esiste più. L'unione delle città, incastrate e connesse grazie alla capillarità dei trasporti e delle comunicazioni, rende necessaria una programmazione dello sviluppo non per segmenti, ma per grandi aree; l'attività di previsione e di gestione del territorio non può più essere concepita a livello comunale o provinciale, ma soltanto da un ente centrale dello Stato. L'attuale confusissima parcellizzazione delle competenze (tra enti comunali, sovracomunali, provinciali e/o regionali), spesso in conflitto tra loro, non rappresenta affatto un decentramento efficace, ed è uno dei mali italiani.

Il fenomeno di fusione delle città ha ricevuto (dal grande geografo Jean Gottmann nel lontano 1957) il nome di Megalopoli, che non è, come l'uso comune del termine porta ancora a credere, una metropoli più grande, ma la somma appunto di varie centri tra loro fortemente connessi. In America, un'enorme striscia della costa orientale, comprendente Boston, New York e Washington, ha assunto da tempo i caratteri della megalopoli; in Europa, il caso più evidente è la Ruhr tedesca, nella quale sono comprese grandi città come Colonia, Essen, Duesseldorf; in Italia, tra Milano e Venezia ci sono tutti i sintomi di uno sviluppo simile. La megalopoli include anche grandi appezzamenti di terra coltivata o meno, intervalli di vuoto dentro il pieno delle costruzioni, ma il sistema che la identifica è un reticolo ad alta densità abitativa, fortemente integrato, che necessita di attenzione e progettazione in modo unitario.2 In scala minore, situazioni di forte interconnessione tra piccoli centri, come in Brianza, sulla costa ligure, nei Castelli romani, nell'area di Pistoia, ecc. devono essere ovviamente gestite secondo parametri sovracomunali. L'assenza dell'amministrazione su queste problematiche denota una totale assenza di previsione e di attenzione a ciò che accadrà e non soltanto a ciò che accade.



3. Il Bel Paese

L'opinione comune è che l'Italia sia bellissima ed unica e che qualcuno l'abbia rovinata; questo qualcuno è sempre un altro, a volte appartiene al passato, a volte è straniero, a volte è un nemico, ma non siamo mai noi. Capita di sentire persone, anche di non limitata cultura, che esaltano il patrimonio artistico del Bel Paese (stimato in fantasiose percentuali rispetto all'intero pianeta)3, rivendicando a noi stessi una diretta eredità dal passato; e tra costoro permane l'idea di fondo che ancor oggi l'Italia sia il paese più bello, più ricco d'arte, il paese geniale per antonomasia, nonostante tutto.

É proprio questo tipo di atteggiamento, invece, che ha devastato la nostra cultura, riducendola a una venerabile reliquia della cultura rinascimentale. Se in Italia infatti esistono grandi bellezze naturali e artistiche, esistono anche brutture degne di un quarto mondo non civilizzato, baraccopoli, discariche a cielo aperto, infrastrutture debordanti e selvagge, relitti industriali mai sanati, immense aree boschive allo stato selvaggio.

La presunzione italiana è di essere la culla dell'occidente, il Paese che dominò l'Europa ai tempi prima dell'Impero Romano e poi del Rinascimento. In realtà, per gli altri europei buona parte dell'Italia è un museo all'aperto, un paese che da secoli ha smesso di contare qualcosa e che merita di essere visitato solo per il suo passato (come la Grecia e l'Egitto) e per i suoi negozi di moda.

Per noi l'idea di patria è un concetto di comodo e che cosa voglia dire Nazione è - per molti - del tutto oscuro. Il territorio di tutti dimenticato da tutti è tra i protagonisti negativi della storia italiana degli ultimi secoli; e forse il territorio è lo specchio più fedele della nostra decadenza. Per spiegare come si sia potuto arrivare a tanto, si è cercato di trovarne le motivazioni nella complessa storia della penisola, nel suo essere stata divisa, nel suo destino di terra di conquista. Ma se cercare di trovare le cause remote di un male può essere utile a livello teorico, è più importante capire se si può fare qualcosa per guarire.



4. Tradizione e industria

L'industrializzazione e la modernità sono state accolte in Italia dapprima con sospetto, ma poi con astuzia da parte di chi ha saputo gestirle. E il nostro capitalismo tuttora si basa su dinastie, piccoli gruppi che hanno finito per sostituirsi all'aristocrazia di un tempo. Entrando in ritardo nello sviluppo industriale e capitalistico di Francia, Germania, Gran Bretagna, gli italiani si sono convinti che la vita moderna non ha bisogno della campagna e che la ricchezza nasce dall'industria e, oggi, dalla finanza. L'esodo dalle campagne è stato brusco e massiccio e ha generato nell'arco di due o tre generazioni una sorta di rimozione globale del mestiere di contadino dalla nostra cultura, che pure era profondamente legata alla terra.

Qualcuno naturalmente in campagna è rimasto, ma in numero limitato; pervasi da un senso di precarietà della loro situazione, costoro da anni sfruttano il territorio invece di amministrarlo e si occupano essenzialmente di produzione e non di manutenzione. Il mestiere di tenere in piedi un'azienda agricola pensando anche al futuro e non solo al presente è un mestiere difficile, e che sembra rendere poco; se poi si sospetta che l'azienda di famiglia non verrà più gestita dai figli, il futuro non conta davvero nulla. E non parliamo del concetto che quell'azienda è un bene pubblico e non soltanto privato.

Non sembri cosa da poco sottolineare come questi ultimi agricoltori, nell'assenza di una prospettiva futura, si risolvano a tagliare boschi per ottenere terreni coltivabili, a usare pesticidi e fertilizzanti, a praticare metodi pericolosi di accelerazione della produzione, trascurando cioè la corretta gestione della forestazione (che da una parte cresce per l'abbandono delle colture, dall'altra cala per il cambio abusivo di destinazione), dei corsi d'acqua e delle falde, degli scarti e delle corrette cicliche coltivazioni.

Tra i mestieri tradizionali, quello dell'agricoltore è forse oggi il più trascurato. La negligenza verso l'ambiente parte dall'abbandono dell'agricoltura come base dell'economia e della tradizione culturale. Salzano descrive bene questo fenomeno:

Fino a cento anni fa il territorio extraurbano era tutto curato, amministrato, gestito. Non solo quello agricolo, che occupava un'area enormemente più estesa di quella odierna, ma anche quello utilizzato per la pastorizia e la silvicoltura, e perfino quello del tutto “selvatico”. Perfino i boschi selvaggi […] erano soggetti a quel minimo di cura che consiste nel togliere via i rami e i tronchi secchi per arderli nei focolai (impedendo così che il corso delle acque nei torrenti tracimasse dagli alvei naturali e rovinasse a valle).4

Ma per tornare al territorio, il dissesto idro-geologico dell'Italia, in gran parte dovuto all'abbandono delle campagne, è evidente e manifesto ogni volta che una regione viene investita da calamità come alluvioni, terremoti, incendi. Anche qui si rischia il luogo comune nel ricordare che un paese intero che smotta a valle navigando sul fango, non lo fa per calamità naturale, ma perché è stato costruito su terra di riporto; che un fiume che straripa con frequenza lo fa perché il suo fondale è intasato di rifiuti; che una casa che crolla per un terremoto spesso non aveva seguito la normativa anti-sismica vigente. Il problema è che queste cose ormai le sanno in molti, ma si continua a non fare nulla per ripararle.

Lo Stato ha il diritto di porre vincoli idro-geologici5 su molte parti del territorio, cioè di impedire che su determinate aree si intervenga con infrastrutture, edilizia, coltivazioni scorrette. Eppure incredibilmente la gran parte delle aree sottoposte a questo tipo di vincolo sono di fatto edificate; e anche quando ciò viene denunciato, gli interventi edilizi risultano intoccabili.



5. La proprietà pubblica

L'interesse privato può essere visto come interesse particolare nei confronti dell'interesse universale, vale a dire dello Stato. Si può citare il celebre passo di Guicciardini, “Ciascuno pensava al proprio particulare sì che nella tempesta comune naufragarono tutti”, per ricordare che da mezzo millennio alcuni elementi dell'italianità non mutano, ed è evidente che questo atteggiamento si trasmette anche in ambito culturale.

La storia del territorio è una storia tipica di scontro tra l'interesse particolare e l'interesse di tutti. Ci sono due meccanismi fondamentali che consentono agli enti dello Stato il controllo del territorio: l'assegnazione delle destinazioni e il loro cambio; il primo avviene tramite la pianificazione e i suoi strumenti legali (piani regolatori ecc.), il secondo può avvenire con una variante del primo o attraverso l'esproprio.

Indicativa è la storia dell'esproprio in Italia, anche se molto complessa. L'articolo 42 della Costituzione recita: “La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”. L'esproprio è possibile quindi per motivi gravi e determina un indennizzo: di quale entità? La risposta storica, nel caso di un terreno agricolo destinato - per esempio - a far parte di un'autostrada, era che l'indennizzo coincideva col valore di mercato del terreno agricolo. Le cose sono però cambiate e hanno reso tutto più difficile per gli enti dello Stato. L'urbanista Vito Laricchiuta scrive che oggi “le decisioni edificatorie contenute in una pianificazione incrementano la rendita fondiaria, procurando ricchezza per il proprietario, ma al contempo maggiore onerosità per l’amministrazione pubblica.6 É un punto cruciale: oggi l'esproprio da parte dello Stato, oltre che essere contestabile, è estremamente costoso. E sono gli enti dello Stato a determinare il valore dei beni da espropriare: se fossimo in borsa, si parlerebbe di insider trading, in un paese come l'Italia, è un invito alla corruzione. Ancora una volta, all'interesse generale si sostituisce il particolare.



6. Catalogare per il futuro

In precedenza ho scritto che “dare una sintesi del territorio attraverso dati e cifre è importante”, e in realtà il nostro patrimonio ambientale è sicuramente grandissimo, anche se nessuno lo ha mai catalogato per intero. Cosa comporta questa mancanza?

Catalogare vuol dire mettere per scritto la descrizione di un bene esistente; il catalogo di una biblioteca consiste nell'elenco dei libri, ognuno descritto secondo un sistema complesso, in grado di riassumere nel migliore dei modi le sue caratteristiche fisiche. Il catalogo è uno strumento fondamentale laddove i beni sono molti, cioè non controllabili dalla memoria di un singolo; esistono quindi cataloghi dei luoghi, gli atlanti; cataloghi dei cittadini, i censimenti; cataloghi delle merci, gli inventari; cataloghi di opere d'arte e cataloghi di dischi musicali, cataloghi di film e cataloghi di ricette di cucina.7

E il territorio? Anche il territorio dovrebbe essere catalogato? E cosa vuol dire catalogare un territorio?

Esiste già da tempo immemorabile lo strumento intellettuale creato allo scopo, si chiama catasto ed è uno degli enti pubblici che rivelano la differenza tra l'Italia e altri paesi occidentali. Da noi, infatti, il catasto non è mai aggiornato e non fa testo nel definire lo stato del territorio; negli atti di compravendita (fino al 20108) bastavano dichiarazioni estemporanee per superare la carenza di informazioni.9 Tuttavia, in questo ambito qualcosa si è mosso e, oltre la legge 78 del 2010, sono stati finalmente approntati strumenti di consultazione e di aggiornamento basati su tecnologie digitali, ovvero accessibili tramite Internet. Il semplice cittadino può consultare il catasto, ottenere cioè una “visura catastale”, in tempi rapidissimi e con un costo minimo tramite il sito delle Poste Italiane, cui dovrà registrarsi. La novità (ormai non così nuova, in realtà sono anni che il servizio è attivo) è importante, ma la percentuale di cittadini che ne è a conoscenza è minima. Inoltre, la consultazione avviene in modo riservato, e non è questo il punto cruciale della trasparenza! Per capire cosa intendo, si veda cosa fanno i francesi10: prova sbalorditiva della loro efficienza è il sito www.cadastre.gouv.fr, il sito del catasto, attraverso il quale si possono liberamente vedere a partire da un indirizzo le particelle catastali di tutta la Francia ed eventualmente ordinare le certificazioni relative.

Immaginiamo ora i vantaggi di un catasto perfettamente funzionante e di uno Stato che fa il suo dovere. Intere aree dismesse, soprattutto industriali, la cui cubatura ha dimensioni inimmaginabili, potrebbero essere identificate, espropriate ed acquisite a costo ridotto, e infine riciclate. Gli introiti legati alle tasse di vario tipo che gravano sugli immobili e sui terreni potrebbero finalmente essere effettivi e non parziali, garantendo una diminuzione delle aliquote. L'abusivismo potrebbe essere combattuto prima dell'edificazione o del cambio di destinazione d'uso illegale.

Tecnologie e capacità non mancano in Italia per competere con queste potenzialità, manca invece e del tutto la volontà politica di crearle e di usarle. In questa assenza di trasparenza, insieme agli orrori del nostro territorio, si trova una chiave di lettura fondamentale per capire l'Italia di oggi, il cui destino potrà forse risollevarsi se in tempi brevi si invererà una nuova epoca modernamente umanistica e illuminata. Per non restare fermi a parole vaghe, ecco il programma che il grande accusatore Edoardo Salzano, cui non difetta tuttavia una certa dose di ottimismo, propone attraverso il suo sito Eddyburg:

Su quattro grandi progetti sembra necessario oggi investire il massimo possibile di lavoro:

(1) una nuova organizzazione della mobilità che sia sostenibile, efficiente, amichevole, equa e che si ponga l’obiettivo di ridurre la domanda di mobilità mediante una corretta localizzazione delle funzioni sul territorio e la promozione delle “filiere corte”;

(2) nell’ambito di una decisa riduzione degli scarti del consumo e della dipendenza dall’energia, l’utilizzazione delle energie alternative con modalità, tecnologie e localizzazioni non confliggenti con la tutela delle risorse e dei patrimoni comuni;

(3) un risarcimento del territorio che lo riscatti dall’attuale degrado delle risorse fisiche e culturali che in esso storia e natura hanno investito, gli restituisca bellezza, sicurezza, fruibilità, elimini i generatori di rischio, di degrado e d’inquinamento, avvii un’opera di manutenzione sistematica e ordinaria;

(4) un programma che si ponga l’obiettivo di garantire una residenza (abitazione più servizi) a tutti gli abitanti a condizioni adeguate alle loro necessità di vita e al loro reddito, mediante il recupero e la rigenerazione sociale del vastissimo stock edilizio accumulato. 11

 

Note con rimando automatico al testo

1 Si veda il sito Condono edilizio e in particolare www.condono-edilizio.com/news/ambiente-wwf-203-abusi-edilizi-al-giorno-dal-1948/
Cfr. anche i numerosi testi che Paolo Berdini ha dedicato all'argomento.

2In Italia, nulla è stato fatto a livello di leggi per anticipare questa evoluzione abbastanza prevedibile. Si pensi alle province, enti locali di poco nota utilità (le loro competenze sono di fatto legate alle strade e alle scuole superiori): ne sono state fatte molte negli ultimi vent'anni, come Monza, Prato, Verbania, ma anche Olbia, Fermo, Ogliastra, per poi improvvisamente retrocedere e decidere che sotto una certa popolazione la provincia andrebbe eliminata. Parlare di popolazione residente come unico dato di riferimento è un segnale di tale ignoranza da lasciare interdetti; è un dato di semplice buon senso che l'importanza di un insediamento (cui assegnare il ruolo di centro provinciale) si misura attraverso la complessa valutazione del suo ruolo storico, delle sue dimensioni e dei suoi collegamenti. Per questo esistono ad esempio un migliaio di piccolissimi comuni alpini, soprattutto in Piemonte, che per popolazione non meriterebbero il rango di municipio, ma per posizione geografica sì.

3 I furti che il patrimonio artistico italiano, fatto in particolare di oggetti sacri, subisce per via della scarsa sorveglianza, sono moltissimi e l'Unesco li ha stimati al 60-70% di tutti i furti d'arte nel mondo. L'approssimazione e l'ignoranza di molti hanno interpretato questo dato sui furti come un dato sul patrimonio; un simile equivoco può verificarsi solo in un paese che non sa cosa vuol dire catalogazione e che in sostanza la ritiene un'operazione inutile.

4 Edoardo Salzano, Fondamenti di Urbanistica, Laterza, Roma-Bari, 20097, pp. 7-8.

5 La normativa risale al 1926, e ha sempre delegato il potere di vincolo agli enti locali.

6 Cfr. La perequazione urbanistica, a cura di Vito Laricchiuta www.entilocali.provincia.le.it/nuovo/node/6650

7 Ognuno di noi, in realtà, pensa che rendere pubblici i numeri esatti e i dati precisi di un patrimonio implichi un qualche elemento di spionaggio o di controllo. Non denunciamo chi infrange la legge, perché a sua volta lui non denunci noi quando, prima o poi, saremo noi a infrangerla. Lo Stato cui ci si dovrebbe rivolgere per la denuncia è fatto di altri, lo Stato sono altri, non siamo noi.

8 Il decreto legge 78 del 2010 stabilisce meccanismi di controllo all'atto di compravendita molto più accurati che in passato, allo scopo di combattere l'abusivismo. La verifica dell'efficacia della legge è ancora da valutare.

9 In Francia, il catasto, anche se non ha valore giuridico, è il territorio; e così è in Germania; ciò vuol dire che lo Stato conosce se stesso, e che i cittadini essendo lo Stato conoscono ciò che sono. Gli italiani preferiscono non saperlo, o meglio preferiscono che alla scientifica enunciazione di un dato si possa opporre la confusa ipotesi di una possibilità.

10 Ricordiamoci che la Francia è avanti di 200 anni grazie a Napoleone, che in questo campo è stato un innovatore, ma che sono appunto passati perlomeno 200 anni da quando si è capita l'importanza non solo economica della registrazione dei terreni.

11 Si veda l'eddytoriale 144 del 5 novembre 2010 eddyburg.it/article/articleview/16131/0/375/