Dal maggio 2022 su questa rivista non sono più accessibili molte immagini d'arte coperte dal copyright dei proprietari, ovvero generalmente musei e collezioni. Nella gran parte dei casi, l'immagine risulta vuota ma è leggibile la sua didascalia, per cui resta possibile la sua visualizzazione nei legittimi contesti.

Redazione e contatti

Cerca nel sito

It's your time, Olafur Eliasson

Oneway Colour Tunnel

L'arte contemporanea ha preferito, nella sua più diffusa interpretazione novecentesca, installazioni e performance ai volumi rigidi e predefiniti delle statue e dei quadri tradizionali; detto in altri termini, gli artisti hanno rappresentato più il loro agire che le loro azioni. Questa tendenza potrebbe essere giunta al suo termine, se si osservano le opere di alcuni giovani artisti che - si direbbe - privilegiano la presentazione alla rappresentazione, vale a dire non tanto l'agire, e neppure le azioni, quanto piuttosto il progetto dell'agire. Olafur Eliasson, classe 1967, è senza dubbio il più abile e il più noto tra quanti hanno intrapreso questo percorso.

Islandese di origine, danese di nascita, tedesco per lavoro, Eliasson, nato nel 1967, ha adottato con la moglie due bambini africani e da allora ha preferito che la sua vita tornasse a centrarsi su Copenaghen, secondo lui meno problematica di Berlino rispetto ai problemi razziali. Tuttavia, la capitale tedesca resta la base di lavoro dell'artista, a Berlino si trova il grande studio dove decine di collaboratori lo assistono nelle invenzioni più singolari, e a Berlino Eliasson ha fondato l'Institut fuer Raumexperimente, una sorta di scuola universitaria dedicata a ricerche sullo spazio. Nel riaffacciarsi di una qualche diffidenza verso i tedeschi, del tutto ingiustificata a parer mio, si può tuttavia cogliere il principio basilare della mentalità di Eliasson artista e intellettuale: i lumi della ragione innanzitutto.

A proposito di Eliasson, il sociologo e urbanista francese Paul Virilio ha scritto nel 2007: "... l'originale lavoro di Olafur Eliasson rivela meno in termini di temporalità assente, propria di quella che tradizionalmente si continua a definire "arte contemporanea", di quanto non faccia in termini di spazialità eccentrica dal nuovo "contesto" che implica la globalizzazione planetaria. ... In un certo modo questa improvvisa frattura iconica va molto al di là di quella provocata dal Barocco, terremoto di espressioni artistiche che scioccò l'Europa, dal XVII° secolo in poi, liberandosi una alla volta di tutte le regole della composizione dell'età classica"1. Virilio individua con lucidità la situazione attuale e vi scorge i sintomi di una crisi simile a quella scatenata dal barocco, stile e concezione cui spesso sono accostati i Decostruttivisti di oggi.

RemagineE' la regola-gioco più affascinante per gli storici, il ricorso. A ben vedere, magari con qualche libertà di lettura, si possono infatti individuare precedenti illustri nelle correnti artistiche di fine Novecento e inizio Duemila: identificando il Movimento Moderno in architettura con una forma di Classicismo, l'ondata Post-modern che dagli anni Settanta e Ottanta ha invaso la scena internazionale (non solo artistica: si vedano letteratura, moda, design, musica) appare di fatto un Manierismo, cioè una decadenza formale ma creativa dello stile originale. A segnare la fine del Post-modern sono stati i Decostruttivisti, apparentemente diversi, in realtà manifestazioni estreme della stessa decadenza unita a un virtuosismo-tecnicismo di fondo, vicini quindi - nel nostro parallelo storico - alle istanze barocche. Mentre se ne parla, il Decostruttivismo architettonico è già in crisi, e appare scavalcato da una tendenza più solida e concreta in atto da vari decenni, quella della Sostenibilità, dell'Ecologia e della Bio-architettura. Olafur Eliasson, che non è un architetto ma a un architetto somiglia molto, è forse l'artista-faro della dialettica tra queste ultime onde, che giocano con la natura spalancandola e analizzandola nel nome dell'effimero. Neoclassico per la ricerca della perfezione formale e per l'analisi scientifica delle situazioni, romantico per il tentativo di dominare i segreti della Terra, Eliasson creò il sole nel 2003 dentro la Tate Modern di Londra con The Weather Project, e da allora la sua fama è cresciuta, gli incarichi si sono moltiplicati (persino di designer per la BMW), il ruolo di moderno demiurgo, decostruttivista ed ecologista insieme, in grado di competere con la natura si è consolidato.

Con l'affermarsi, infatti, di una maturità artistica riconosciuta e sicuramente invidiabile, Eliasson è stato onorato dai maggiori musei del mondo, tra cui il Guggenheim di New York, e da due anni, con partenza dal Museo di arte Moderna di San Francisco, una sua ampia retrospettiva, significativamente intitolata Take your time, si sposta in vari paesi del mondo (nel 2010 è a Sidney). L'artista oggi appare lucido e determinato, e precisa tramite i titoli delle opere e gli articoli scritti il suo voler fare arte non per, ma con gli spettatori: a loro si rivolge ripetendo Your engagement has consequences e facendoli giocare con modellini e mattoncini Lego.

Geometria del mondo

La tradizione artistica occidentale pone nella geometria una delle radici strutturali del proprio essere. Dalle piramidi al canone di Policleto, dagli schemi prospettici rinascimentali alle quadrature barocche, la geometria sostiene con la sua apparente perfezione le scelte compositive e spinge l'artista a cercare rapporti, limiti, relazioni. Eliasson utilizza soprattutto nelle opere indoor alcune matrici complesse, trasformando in luoghi figurativi della geometria intere sale, o pareti, o ambienti, sempre secondo la regola effimera e non duratura ("Lo spazio è fatto di tempo" scrive nel suo Models are real2) che lo contraddistingue.

I suoi mezzi possono essere tradizionalThe   colour spectrum seriesi, come le grandi superfici campite secondo gli spettri cromatici, elaborazioni pittoriche di costruzioni virtuali, generate cioè da prismi riflettenti (The colour spectrum series). La forma giocosa del caleidoscopio, genesi casuale che diventa riproduzione seriale, potrebbe spiegare alcune soluzioni visive di Eliasson (Oneway Colour Tunnel), ma l'artista va ben oltre il punto di partenza ed elabora complessi meccanismi, che con specchi e proiezioni riescono a creare un mondo illusorio e fantastico.

La luce e gli specchi diventano in effetti i protagonisti assoluti di molte opere. Gli oggetti che Eliasson ha creato secondo questi riferimenti sono stilisticamente simili: superfici specchianti o trasparenti, complessi volumi composti di tasselli lucidi, composizioni miste tra riflessioni e incastri di superfici, oggetti completamente rivestiti o fatti di lamine specchianti. La rielaborazione in chiave prevalentemente luminosa della Op Art e di alcuni spunti minimalisti non toglie peraltro riconoscibilità a Eliasson, soprattutto per le dimensioni di alcune opere, che occupano lo spazio, lo arredano, e in qualche modo lo avvolgono.

L'artista usa anche altre tecniche, come la proiezione di ombre sul muro generate da un proiettore rotante. Una volta costruisce immagini prospettiche proiettando sul muro grandi ritagli rettangolari (Remagine), finestre che si sovrappongono progressivamente, dialogano con l'ombra delle superfici, e si allontanano ancora, dando vita a un'animazione che allude inevitabilmente alla prospettiva classica, pura illusione di spazio trasferita su superficie. Un'altra volta, (Round rainbow, qui riprodotto grazie a un filmato di Roberto C. Madruga su YouTube), l'artista gioca con l'ombra di anelli in rotazione, simili alle orbite dei pianeti, un disegno di precisione che lo spettatore osserva, aspettando le insolite e complesse intersezioni, con lo stupore di un bambino.

Se la matrice geometrica di molte opere è indubbia, l'altra componente fondamentale in Eliasson è senz'altra l'imitazione della natura, come vedremo meglio tra breve. Sembrano allora trovarsi in una zona intermedia tra geometria e natura opere come Ventilator, un ventilatore appeso al soffitto che soffia e si muove caoticamente come un uccello in gabbia, negando una linearità al moto ma imponendo la rotazione costante dell'elica. Nello stesso spazio intermedio trovano posto anche le limpide e suggestive catene fotografiche che Eliasson propone da sempre, componendo lunghe sequenze di immagini: fiumi visti dall'alto, orizzonti marini, fari, cascate, ghiacciai. Una cartografia del mondo che non rimanda tanto a Google Earth, quanto ad un'effettiva esplorazione graduale, nella quale la pittoricità della natura si trasforma nella fotografia obiettiva dello scienziato (Cartographic series I).

Tempo della natura

Nel primo gruppo di opere, legate alla geometria e alla luce, ho sottolineato una congruenza con lo spirito della Op Art, e sembrerebbe altrettanto facile trovare un contatto tra le opere dell'Eliasson creatore di fenomeni naturali e i protagonisti della Land Art. Al contrario, il contatto è solo apparente, e anche in questo aspetto risiede la novità del lavoro dell'artista danese: la Land Art si esprimeva, e si esprime tuttora, dentro la natura, intervenendo a latere con l'intenzione di attrarre la nostra attenzione e di esaltare aspetti o forme già esistenti; Eliasson invece costruisce in laboratorio eventi ispirati dalla natura e che la sottintendono, non lavorando quindi con la natura, ma imitandola ed entrando in competizione con essa. Ad appena 27 anni, nel 1994, Eliasson immaginò una delle più sorprendenti pareti artistiche mai realizzate, Moss wall, un muro di muschio. Ancora nel 2008, per la sua retrospettiva internazionale, la parete è stata ricostruita: un'ingente quantità di muschio polare (che invecchiando cambia ovviamente colore) copre interamente il muro di una sala da museo. Non è Land Art, e non è neppure un modello di intervento a scala maggiore: è semplicemente una parete di muschio, un rivestimento destinato a morire. Chi ha visto l'opera ricorda certamente l'odThe Moss  Wallore leggero e la nitida percezione dell'oggetto naturale che si trasforma in materia manipolata, una sensazione spiazzante, come fosse in corso un sovvertimento nell'ordine delle cose; in effetti era così, ma questa constatazione è vera in quasi tutti i luoghi della nostra esperienza, con la frequente eccezione proprio delle opere d'arte, destinate all'immortalità. Nell'aspetto, nel colore e nel sentore del muschio sembrava allora di cogliere l'essenza stessa, effimera e decadente, della vita.

Da questa invenzione, in fondo, si origina tutta la produzione dell'artista che in questa sede ho collocato sotto l'etichetta di Tempo della natura. La parola tempo nella lingua italiana ha un doppio significato, indica sia la dimensione della durata sia quella atmosferica, e forse la cosa piacerebbe al poliglotta Eliasson. Quando dal 1998 l'artista costruisce le prime cascate artificiali, il suo ruolo di creatore si stabilizza: come le fontane di Bernini, le cascate di Eliasson (le ultime grandiose sono state montate a New York nel 2008, The New York City Waterfalls) si ispirano al mondo e sono esse stesse il mondo. Models are real, i modelli sono realtà, la durata limitata non inficia la loro presenza, e ci penseranno comunque i moderni mezzi di riproduzione visiva a mantenerne il ricordo.

The New York  City WaterfallsL'aspetto tecnico - spesso sofisticatissimo e frutto del lavoro di decine di professionisti - non viene celato, anzi forse Eliasson nel non nascondere i suoi trucchi vuole sottolinearne la difficoltà esecutiva, il lavoro preliminare, la evoluta scientificità. Ecco quanto scrive a proposito: "A partire dai primi anni 90, quando ero studente, nel dibattito critico-artistico abbiamo considerato il visitatore dei musei come parte dell'opera d'arte, una concezione che è essenziale nella mia attività di oggi. Per enfatizzare la negoziabilità delle mie opere, le installazioni e i grandi progetti spaziali del genere, non cerco di nascondere gli strumenti tecnici su cui si basano. Io rendo la struttura accessibile ai visitatori, per farli concentrare sul fatto che ogni opera d'arte è o un'opzione o un modello. Quindi le opere d'arte diventano messinscene sperimentali, e le esperienze di queste non sono basate su un'essenza trovata nelle opere stesse, ma su un'opzione attivata dagli utenti."3

I fenomeni che Eliasson predilige sono evidenti e rimandano alle sue origini nordiche, la nebbia, le cascate, il sole velato, il ghiaccio. Per costruirli, l'energia elettrica di ventilatori, di pompe, di vaporizzatori, di riflettori, di valvole, guidata da sistemi elettronici e informatici, obbedisce alla volontà dell'artefice. Eliasson sembra voler penetrare con la scienza e la tecnica i misteri del mondo creato e riprodurli, ma qualcosa nella sua inventiva si lega all'imponderabile, all'invisibile, all'incontrollabile. Negli ultimi anni l'artista ha spesso battezzato le sue opere facendole precedere da Your (vostro), rivolto agli utenti-visitatori; l'opera viene quindi attribuita a chi la guarda e se ne serve, diventando parte di una collettività che è libera di interpretarla e di usarla. Anche gli specchi hanno questa funzione, ma restano qualcosa che si vede soltanto; le nebbie, l'aria mossa dalle eliche, l'acqua che cade, le strutture in cui si entra, sono invece spazi che diventano nostri e che vivono e si attuano per via della nostra presenza.

La Cattedra di  San PietroThe  Weather Project

Il sole del celebre Weather Project, che lanciò Eliasson nel firmamento delle grandi stelle dell'arte contemporanea, proiettato nella immensa sala delle turbine della Tate Modern di Londra, fu creato da specchi, luci e vapori generati dall'abilità umana, immagine fantastica di un globo di luce immerso nella nebbia. Al di sopra del sole, chi lo guardava vedeva se stesso riflesso nel cielo-soffitto-pavimento. Era il sole di Eliasson, non qualcosa che affiancava o sfruttava la nostra vicina stella.

Le immagini fotografiche e i film girati in quell'occasione raccontano la meraviglia e l'entusiasmo di chi entrando nel museo londinese vedeva apparire uno spettacolo impensabile; forse, non diversamente reagirono i cittadini di Roma che un giorno in San Pietro videro conclusa nell'abside maggiore la Gloria della Cattedra di San Pietro, colossale gruppo bronzeo illuminato al centro da una finestra che, invasa dalla luce vera del sole, si trasformava nell'essenza stessa, effimera ed evanescente, della fede cristiana.

 

Immagini e opere citate

(le riproduzioni sono tratte dal sito ufficiale di Eliasson, con la cortese autorizzazione dello Studio Eliasson di Berlino)

Moss wall, 1994 (esposto in occasione di "Take your time: Olafur Eliasson", San Francisco Museum of Modern Art, 2007-08)

Ventilator, 1998 (esposto in occasione di "Take your time: Olafur Eliasson", San Francisco Museum of Modern Art, 2007-08)

Cartographic series I, 2000

Remagine, 2002

Model room, 2003 (esposto in occasione di "Take your time: Olafur Eliasson", San Francisco Museum of Modern Art, 2007-08)

The weather project, 2003 (Turbine Hall, Tate Modern, Londra)

Round rainbow, 2005 (esposto in occasione di "The light setup", Lunds Konsthall, 2005-06), 2005

One-way colour tunnel, 2007

Colour square sphere, 2007

The New York City Waterfalls, 2008, New York

Your atmospheric colour atlas, 2009 (esposto al 21st Century Museum of Contemporary Art, Kanazawa, 2009-10)

 

Note con rimando automatico al testo

1 Paul Virilio, Olafur Eliasson: un'arte esorbitante, in: Olafur Eliasson. La memoria del colore e altre ombre informali, Postmedia, Milano, 2007, pag, 60

2Olafur Eliasson, Models are real, in: "Models", Volume 11, curato da Emily Abruzzo, Eric Ellingsen and Jonathan D. Solomon. New York: 306090, Inc., 2007

3Olafur Eliasson, Models are real, in: "Models", Volume 11, curato da Emily Abruzzo, Eric Ellingsen and Jonathan D. Solomon. New York: 306090, Inc., 2007 (traduzione mia).

In appendice I modelli sono reali di Olafur Eliasson

DOWNLOAD