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Peter Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita

 

 

Devi cambiare la tua vita.
Sull’antropotecnica

 

di Peter Sloterdijk

 

 

Raffaello Cortina, Milano 2010, 565 pp., 36 Euro
ISBN
9788860303615

 

 

 

Forse la peculiarità della scrittura e del pensiero di Peter Sloterdijk può essere tutta sintetizzata dal titolo del suo ultimo volume tradotto (coraggiosamente) in italiano da Raffaello Cortina: Devi cambiare la tua vita. Quello che potrebbe suonare come il motto di automotivazione di un manuale di self-empowerment, è in realtà la traduzione di un bel verso del poeta Rainer Maria Rilke, che, quale “imperativo della pietra”, sarà il Leitmotiv di tutto il libro. Il pensiero di Peter Sloterdijk, in questo testo come in generale nella sua opera, è teso come una fune tra questi due estremi: un appello quasi dai toni pop al lettore comune a cui però fa da sponda un sostrato filosofico importante, raffinato, a tratti complesso, che strizza l’occhio al pubblico specialistico. Sloterdijk parla disinvoltamente nella stessa pagina dell’interpretazione heideggeriana di Eraclito e dell’importanza per la storia dell’umanità dell’attività di Ron Hubbard, fondatore di Scientology. L’operazione stilistica è ovviamente un’operazione filosofica: Sloterdijk si profonde in una serie lunghissima di paragrafi, sotto-paragrafi, excursus, capitoli, sezioni, mirati al disgregamento di quella che potrebbe essere una “grande narrazione”, ma che al contempo si giustappongono come tessere di un mosaico, formando una ben delineata immagine: quella dell’uomo che si esercita.

Il sottotitolo del testo è infatti Sull’antropotecnica. Con questo termine Sloterdijk definisce la prassi tramite cui «L’uomo produce [tut] l’uomo attraverso una vita di esercizi. Definisco “esercizio” ogni operazione mediante la quale la qualificazione di chi agisce viene mantenuta o migliorata in vista della successiva esecuzione della medesima operazione, anche qualora essa non venga dichiarata esercizio» (p. 7).

Tenendo ferma questa definizione si può comprendere meglio quale sia lo scopo del testo: reinterpretare la storia dell’umanità come la storia di coloro-che-si-sono-esercitati, che hanno fatto della “tentazione di esistere” un destino, innalzando mete improbabili a proprio obbiettivo di vita. L’essere umano, per Sloterdijk, è l’animale acrobatico, che è spinto costantemente da una tensione verticale a superarsi e a superare i limiti imposti dal proprio passato individuale, biologico e culturale. È per questo che lungo tutto il testo riecheggerà quell’imperativo, Devi cambiare la tua vita, che gli dà il titolo. Perché questo imperativo non è un imperativo categorico kantiano, che si rivolge a un’umanità priva di volto, considerata astrattamente, bensì è rivolto ad ogni singolo individuo: «“Devi cambiare la tua vita!” E non: “Dovresti modificare la vita!”» (p. 14).

Attraverso il concetto di antropotecnica (su cui da lungo tempo era a lavoro, almeno dal periodo 1993-1999) coniugato con quello di esercizio, Sloterdijk ritiene di aver trovato la chiave di volta interpretativa per le azioni umane. Il testo non sarà altro che una lunga fenomenologia dell’esercizio, dal mondo antico a quello moderno, che passerà attraverso delle “figure” (proprio come la Fenomenologia dello spirito hegeliana) significative, esempi lampanti del passaggio da una modalità dell’esercizio all’altra. Queste figure, come è nello stile dell’autore, sono filosofi e uomini comuni, personaggi storici e uomini “simbolo” per la storia del mondo (ma sconosciuti ai più). Così nella prima parte del libro troviamo affiancati Nietzsche (il primo ad aver scoperto il valore della pratica su di sé, reinterpretando tutta la metafisica entro una prospettiva di “potenza” e di esercizio) e Cioran (paragonato a un maestro del buddhismo zen, ritirato nel suo esilio parigino e intento a negare in tutti i modi il mondo e la vita) a Unthan (virtuoso violinista senza braccia, che imparò a suonare con i piedi) e al già citato Lafayette Ron Hubbard (fondatore della Church of Scientology). Tutti questi personaggi, così lontani tra loro, hanno in comune, secondo il filosofo di Karlsruhe, il fatto di aver compreso il nucleo antropotecnico-esercitante della natura umana. Nietzsche ne ha fatto il centro della sua reinterpretazione della metafisica, Cioran un modo per sopravvivere all’ “inconveniente di essere nati” negando il mondo e la vita per ben 84 anni, Unthan grazie all’esercizio ha superato le proprie carenze fisiologiche facendo del suo handicap un destino di fama e celebrità.

Merita una considerazione più dettagliata l’analisi sloterdijkiana della figura di Hubbard, perché l’analisi del fenomeno-religione (di cui l’americano viene preso a caso esemplare) sarà uno dei nuclei portanti del testo, che, non a caso, esordisce con questa frase: «Uno spettro si aggira nel mondo occidentale: lo spettro della religione» (p. 3). L’opinione di Sloterdijk a riguardo è chiara: «La “religione” non esiste né esistono le “religioni”, ma soltanto mal compresi sistemi di esercizio spirituale» (p. 5). Il nucleo della religione è l’esercizio mirato alla perfezione, che si pratica a livello individuale e collettivo. Se ad essa è adeguato il termine “metafisica” è solo perché, feuerbachianamente, la religione è stata il più grande sistema escapistico dell’umanità dalla natura e dalle condizioni date. In tal senso essa è “oltre la fisica”. Sloterdijk, che intende strutturare la propria filosofia come un’immunologia generale, ritiene che gli impianti religiosi (e filosofici) siano nati nelle insostenibili condizioni di miseria del mondo antico per assicurare, attraverso una plasmazione del mondo tramite la teoria e l’esercizio fisico, che la realtà diventasse sensata, umana, uscendo dal regno della terrificante alterità insensata e inappropriabile. È quindi in tale ottica che Ron Hubbard, fondando una religione ex nihilo, mostra il fondamento sfondato della religione stessa: se si possiedono una teoria convincente basata su ben studiate pratiche psicotecniche di esercizio e un elevato potere di persuasione e cooptazione è possibile creare un sistema metafisico che può aspirare al rango di “religione”.

La seconda sezione del testo, dal titolo Modi per eccedere, tratterà proprio delle “pratiche religioidi”, dai ritiri dei monaci cristiani dei primi secoli nel deserto alle regole monastiche, dagli insegnamenti dei guru indiani a quelli dei maestri del buddhismo zen, a cui però Sloterdijk non manca di affiancare le pratiche “laiche” di esercizio stratificatesi nella storia: quello scolastico, quello sportivo su tutti. Il passaggio dalle antropotecniche del mondo antico e quelle del mondo moderno e contemporaneo, che segna la cesura tra seconda e terza sezione del testo (Gli esercizi dei moderni) è il passaggio epocale avvenuto tramite l’esteriorizzazione delle pratiche ascetiche: il mondo moderno, rispetto a quello antico, si basa sul lavoro e sulla produzione, che in termini antropotecnici non sono altro che il tentativo di spostare l’oggetto d’intervento dal Sé al mondo. La contemporaneità è l’epoca della modificazione antropotecnica del mondo e dell’umanità in genere. I metodi per la modifica del mondo attuati nella modernità, secondo Sloterdijk, sono stati due: la rivoluzione e l’evoluzione. Caratteristiche della prima sono la violenza, l’immediatezza e la radicalità: la rivoluzione vuole cambiare tutto il mondo, subito, a ogni costo. E con esso l’umanità. In tal senso vanno lette le profonde analisi di Sloterdijk sulle proposte avanzate nell’ex-Urss di modificazione (eu)genetica dell’umanità da parte di intellettuali ed artisti spinti dall’utopia di un uomo nuovo che non fosse più incatenato al fatalismo della nascita, ai bisogni fisiologici, alla necessità della morte. Gli eventi storici hanno dato torto a queste proposte bioutopistiche, lasciando il terreno libero per la modalità “evolutiva” di cambiamento del mondo: il cambiamento graduale, guidato dalla mano invisibile del libero mercato, ha soppiantato l’utopia rivoluzionaria di un rivolgimento radicale e immediato di tutto l’esistente. Ma questa gradualità, che ha innegabilmente avuto l’effetto di migliorare sensibilmente le condizioni di base di una parte dell’umanità (quella del cosiddetto “palazzo di cristallo”, vale a dire la frazione occidentale del mondo, che ha beneficiato dell’impianto economico capitalista, a discapito del resto del mondo), secondo Sloterdijk non ha reso “felice” quella pur privilegiata porzione di popolazione mondiale. Senza considerare il fatto che ha aumentato il dislivello di benessere tra occidente e non-occidente e seriamente minato l’ecosistema naturale mondiale.

È a questo punto che Sloterdijk (caso praticamente unico nella sua produzione) avanza la sua proposta per superare sia l’infelicità che caratterizza le società occidentali, sia per porre un freno alla corsa verso l’abisso della catastrofe ecologica: innanzitutto, nietzscheanamente, bisogna “ri-verticalizzare” le esistenze. La prospettiva di un graduale aumento del benessere ha troppo a lungo trascurato la tendenza acrobatica dell’essere umano, avvilendolo. È necessario perciò smantellare il nucleo antropotecnico delle religioni per poi ri-orientarlo verso un essere-nel-mondo che abbia come mira non più la perfezione o la salvezza individuale, ma quella globale, dell’uomo come specie, e del mondo quale “ecclesia”. Solo in questo modo Sloterdijk ritiene che per l’umanità sarà possibile un futuro.

È a questa prospettiva che è dedicata la parte finale del libro, Sguardo in avanti, articolata tramite tre interrogativi (quasi-)kantiani (Chi può dirlo? Chi può udirlo? Chi lo farà?). In quanto proposta sloterdijkiana perché un mondo futuro sia possibile, tramite l’antropotecnica, si tratta di un punto di svolta nel pensiero e nello stile del filosofo: se la trilogia di Sfere si concludeva con un dialogo fittizio tra vari studiosi che aspettavano Sloterdijk stesso, destinato a non arrivare – emblema dell’impossibilità di dare una chiusura soggettiva ad una narrazione –, adesso egli prende su di sé il carico di pensare l’epoca contemporanea. Infatti soltanto il filosofo può dirlo, può comprendere che l’imperativo del mondo moderno è quello imposto dalla crisi e dalla catastrofe, e che solo l’antropotecnica acrobatica, sgrossata dal proprio pesante involucro religioso tramite una filosofia che si sia riappropriata degli strumenti del narrare, del decostruire e del progettare, può essere il mezzo di questo dire. Un dire che possieda dunque nuovamente quella tensione verticale necessaria a tutte le attività che pongono l’uomo in rapporto con obiettivi difficili, ma eticamente necessari: «Anche oggi l’etica può fondarsi unicamente nell’esperienza del sublime, come è accaduto da quando sono iniziati i processi che hanno condotto alle prime secessioni etiche» (p. 548). Destinatari di questo appello filosofico all’acrobatica (chi lo udirà) sono gli “ultimi uomini” contemporanei, che hanno accettato di spostare dal lato dell’“immaginario” tutta la loro Weltanschauung, crogiolandosi nella visione di film e documentari apocalittici da cui si sentono al riparo perché protetti da uno schermo, dimenticando che l’apocalisse ecologica è più prossima di quello stesso schermo. Questi uomini che noi tutti siamo, secondo Sloterdijk, hanno però anche la possibilità di udire l’imperativo etico «Devi cambiare la tua vita»: la crisi globale ci chiama a questo. Tutti si devono rendere conto che il mondo contemporaneo non può essere mantenuto nell’omeostasi, perché questa è sempre stata un mito: siamo nel declivio che porta al baratro e non su un tranquillo terrapieno. Perciò la risposta all’ultima domanda etica sloterdijkiana (chi lo farà?) è una risposta comunitaria: lo dovremo fare tutti («Dovrei valutare le ripercussioni del mio agire sull’ecologia della società mondiale», p. 552), proiettando la trascendenza che una volta era “Dio” su un nuovo obiettivo, di nome Mondo, e ragionando secondo le leggi di quella che sarà la scienza filosofica del futuro, l’Immunologia universale, che avrà come compito di redarre le “regole monastiche” di un vivere-assieme che non distrugga la nostra biosfera: «Esse codificheranno quelle antropotecniche che risultano conformi all’esistenza nel contesto di tutti i contesti. Voler vivere al loro cospetto significherebbe prendere la decisione di assumere, in esercizi quotidiani, le buone abitudini di una sopravvivenza comune» (p. 556).

Questa è la proposta filosofica, basata su un’interpretazione antropotecnica della filosofia della storia avanzata da Sloterdijk nella seconda e terza sezione del suo lavoro. Sarà compito del dibattito filosofico contemporaneo aprire una discussione che ne prenda seriamente in esame la validità teoretica e l’applicabilità pratica.

Concludiamo invece la nostra presentazione del testo con una breve analisi delle considerazioni propriamente “filosofico-critiche”, presentate nella prima sezione del libro.

Qui Sloterdijk si confronta con quattro referenti teorici: Wittgenstein, Foucault, Eraclito, Bourdieu. Appare evidente come sia il secondo il nume tutelare di tutta l’opera sloterdijkiana: è possibile infatti leggere Devi cambiare la tua vita come una prosecuzione sui generis delle analisi sulla cura sui di Foucault, di cui il concetto di antropotecnica è fortemente debitore. Le analisi della proposizione eraclitea ethos anthropo daimon portate avanti in senso anti-heideggeriano rappresentano, a nostro parere, un pezzo di grande raffinatezza argomentativa, così come ci sembra pregnante l’analisi critica del concetto di habitus nel pensiero di Pierre Bourdieu.

È forse nell’analisi critica di Wittgenstein che però Sloterdijk presta il fianco a critiche filosoficamente fondate. Infatti, nelle considerazioni sul filosofo del linguaggio, Sloterdijk si limita a un’analisi dei giochi linguistici abbastanza superficiale, che non prende praticamente mai in considerazione la lettera del testo wittgensteiniano, se non in riferimento a brevi citazioni dirette tratte da Pensieri diversi e alcune parafrasi dal Tractatus, mirate a suffragare la propria argomentazione che vede Wittgenstein un filosofo dell’antropotecnica, declinata nel linguaggio. Wittgenstien è utilizzato “strumentalmente” da Sloterdijk come rampa di lancio per le sue analisi su Foucault, visto come l’ideale complemento di Wittgenstein, la cui carenza filosofica si sarebbe estrinsecata nell’incapacità di decidere tra il “tacere” completamente (come auspicato nel Tractatus) e il prendere sulla propria persona il carico di essere un “maestro”.

Il lettore filosoficamente avvertito sicuramente riconoscerà la carenza teoretica delle argomentazioni sloterdijkiane nei confronti di Wittgenstein, così come saprà riconoscere la finezza e la rilevanza delle analisi su Foucault, o, come accennavamo, su Eraclito.

Al di là delle critiche o degli apprezzamenti puntuali, Devi cambiare la tua vita resta un testo rilevante nel panorama contemporaneo, intasato da studi settoriali e specialistici, per il suo tentativo di dare una visione filosofica della modernità attraverso un armamentario concettuale sicuramente innovativo, per la rilevanza delle sue analisi teoriche e per l’esperienza lessicale originale e fuori dagli schemi classici.

 

INDICE

Introduzione all’edizione italiana (di Paolo Perticari)

Introduzione. La svolta antropotecnica

Il pianeta dei praticanti

PARTE PRIMA: La conquista dell’improbabile. Per un’etica acrobatica

Programma

Psicologia dell’altezza. La dottrina della surcreazione e il senso di über

Cultura è una regola di un ordine”. Albori dei modi di vivere, teoria del disciplinamento

Insonnia a Efeso. I demoni dell’abitudine e la loro cacciata attraverso la Teoria Prima

Habitus e inerzia. Ai campi base della vita incentrata sull’esercizio

Cur homo artista. La leggerezza dell’impossibile

PARTE SECONDA: Metodi per eccedere

Prospetto. Ritiri nell’inconsueto.

Prima eccentricità. La separazione dei praticanti e i loro dialoghi interiori

Perfetto e imperfetto. Come lo spirito di perfezione coinvolge i praticanti in storie

Giochi da maestro. Gli allenatori quali garanti dell’arte di esagerare

Cambio di allenatore e rivoluzione. Sulle conversioni e sulle svolte opportunistiche

PARTE TERZA: Gli esercizi dei moderni

Prospettiva. Il soggetto in ritiro torna nel mondo

Arte sull’uomo. Negli arsenali dell’antropotecnica

Nello spazio ricurvo della dimensione auto-operativa. Uomini Nuovi tra anestesia e biopolitica

Esercizi e mancati esercizi. Critica della ripetizione

Sguardo all’indietro. Dalla riaggregazione del soggetto alla ricaduta nella cura totale

Sguardo in avanti. L’imperativo assoluto

Indice dei nomi