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Ci sono molte leggende intorno al teatro delle ombre turco e al suo protagonista Karagöz da cui la forma teatrale prende il nome e molte ipotesi sulle sue ‘origini’ (questione in sé tautologica, e spinosa, quella delle origini, ma che condensa un crogiolo di domande e interrogativi cogenti). Questo rende ancora più affascinante la figura nomade di Karagöz, che traccia vie di congiunzione tra l’estremo e il vicino Oriente, per arrivare in Egitto e in tutto il Maghreb, fino in Europa, per due vie, attraverso i Balcani e la Spagna.

Strade, percorsi, rotte, Latcho Drom, Via della Seta: non c’è evidenza che possa attribuire con certezza a questo o a quel luogo l’ombra di Karagöz. Vi è, al contrario, un costante intrecciarsi di percorsi nomadici, come nomade era lo stesso popolo turco, che dall’Asia Centrale giunse fino in Anatolia, e da lì si espanse molto oltre.

La maggior parte degli studiosi sembra concordare sul fatto che il teatro delle ombre sia nato nell’Estremo Oriente, in particolare Java, India, Cina, aree estremamente vaste e diverse tra loro. Ma come sia giunto nel Vicino Oriente resta materia controversa.

Una delle tesi principali sostenuta dallo studioso tedesco Richard Pischel1 e poi sviluppata da un altro studioso tedesco Georg Jacob, insiste sulla importazione e diffusione del teatro delle ombre indiano da parte dei gitani. Provenienti dal nord-ovest dell’India, più di mille anni fa, essi attraversarono, nel loro lungo cammino, tutta l’Asia Centrale fino ad arrivare in Europa.

Lo studioso turco Metin And riprende questa teoria2 sull’origine zigana del Karagöz, sottolineando come, in effetti, il protagonista del teatro delle ombre turco Karagöz, sia uno zingaro. Inoltre Karagöz è, sia nella leggenda più popolare che in fonti storiche, fabbro o venditore ambulante, mestieri tipici delle comunità zingare anche tra i turchi. In una figura, descritta da Metin And, egli appare vestito proprio da zigano e come venditore di utensili.

Lo scrittore e viaggiatore ottomano del XVII sec. Evliya Çelebi, autore del celebre Seyahatname (Il libro dei viaggi), afferma che Karagöz era uno zingaro, un truffatore mellifluo e furbo, un burlone che viveva vicino ad Edirne. Egli veniva impiegato come messaggero e mandato una volta all’anno da Alaeddin, il Sultano selgiuchide, a Konya, dove si cimentava in competizioni comiche con Hacivat, il co-protagonista del teatro turco d’ombre.

L’altro grande filone di ipotesi sulle origini di Karagöz riguarda l’importazione del teatro delle ombre dall’Egitto, e si basa su alcuni elementi. Intanto sul fatto che il teatro delle ombre in Turchia è attestato da fonti storiche solo a partire dal XVI secolo, mentre in Egitto si hanno attestazioni fin dal XII. Il primo riferimento alle Ombre in Egitto riguarda il sultano mamelucco,Salah El-Din El-Kalyouby, che fece vedere al suo riluttante gran visir uno spettacolo di ombre nel 11713.

Del XIII secolo è la famosa raccolta di tre canovacci di teatro delle ombre scritta dal medico egiziano di origini irachene Muhammad Ibn Daniyal4 (morto nel 1311), unica opera scritta di teatro delle ombre pervenuta, che sfida attraverso il riso i confini che passano tra ‘lecito’ e ‘illecito’. L’opera di Ibn Daniyal appare come il frutto del sincretismo culturale di epoca mamelucca, che unisce lo spirito pagano della letteratura preislamica di intrattenimento notturno, ai proverbi, alle satire di origine persiana, greca o indiana.

Secondo l’ipotesi che stiamo seguendo, il teatro delle ombre sarebbe arrivato in Egitto da Java, importato da mercanti arabi che avevano stabilito lì delle colonie e attività di commercio assai fiorenti e dall’Egitto sarebbe successivamente giunto in Turchia.

A tal proposito si cita un episodio riportato nel Tarih-i Misr (la cronaca egiziana), di Muhammed ibn Ahmet Ibn Iyas, testimone degli avvenimenti. Il Sultano Selim I, che aveva inglobato l’Egitto nell’Impero Ottomano nel 1517, condannò all’impiccagione l’ultimo sultano mamelucco, Tumanbay II. Il Sultano Selim I dal suo palazzo sulle rive del Nilo guardava uno spettacolo d’ombre che inscenava l’impiccagione del suo avversario e ne fu talmente gratificato, che ricoprì di monete d’oro il marionettista e lo invitò ad andare con lui a Istanbul, perché il figlio (il futuro Solimano il Magnifico) potesse godere dello spettacolo delle ombre. E vi sono diversi documenti ottomani del XVI che attestano la presenza di artisti egiziani in Turchia.

A sostegno di questa ipotesi che collega Java con l’Egitto e successivamene la Turchia, Metin And5 sottolinea anche la comunanza della struttura in quattro parti tra il Karagöz e l’Ortaoyunu (forma di teatro popolare comico turco) da una parte e il Ludruk giavanese (una forma di commedia improvvisata) dall’altra.

La cultura dell’Anatolia si pone come un vero e proprio crocevia di culture, stratificate nei secoli, attraverso le diverse ondate migratorie (dall’Asia Centrale) e attraverso le numerose conquiste subite da parte di popolazioni tra le più diverse. Va ricordato che, prima di stanziarsi definitivamente in Anatolia nell’XI secolo6 e mescolarsi con le popolazioni anatoliche autoctone, le popolazioni turche (uralo-altaiche) provenivano dalla Asia Centrale. In questo senso le loro culture avevano legami profondi con le antiche culture cinese e tibetana. È attraverso questa dinamica relazionale migratoria che le pratiche animistiche e sciamaniche hanno avuto un ruolo fondamentale nella cultura turca e nella tradizione delle arti performative7.

Basti pensare che la parola turca oyun con cui si indica “dramma, teatro, danza, gioco”, è anche il nome dello sciamano che esorcizza, e quello di una cerimonia rituale costituita principalmente di danze, musica, azioni drammatiche, mimiche e con la presenza di ventriloqui.

Appare fortemente legata alla cultura sciamanica anche la leggenda più popolare sulla nascita del teatro delle ombre Karagöz, di cui sono note diverse varianti8. Narra questa leggenda che durante il regno del Sultano Orhan (1326-1359) si costruiva una moschea a Bursa (prima capitale del beilikato ottomano nel 1326). Nel cantiere lavoravano Karagöz e Hacivat: il primo come fabbro, il secondo come muratore. I due compagni intrattenevano tutti con i loro motti e facezie, tanto che a un certo punto i lavori della moschea si interruppero, perché tutti gli operai si fermavano ad ascoltare le loro storie divertenti. Il sultano si arrabbiò a tal punto da metterli a morte, tagliandogli la testa (secondo una variante riportata da Metin And furono impiccati)9. Ma il sultano fu preso dal rimorso, e uno dei suoi servitori, Sheik Küșteri, pensò di far rivivere i due, costruendo uno schermo sul quale si proiettarono le due figure degli sventurati Hacivat e Karagöz.

Nella tradizione turca Sheik Küșteri è considerato lo scopritore e il patrono del teatro delle ombre. Questi viene spesso nominato nel prologo e sembra essere stato un derviscio di Bursa, di origini persiane. Lo schermo è chiamato Sheik Küșteri Meydanı. Il ruolo dei sufi nel favorire e diffondere il teatro delle ombre è sottolineato da Metin And: “L’esempio più cospicuo della reazione all’islamismo è offerto dalle immagini del teatro delle ombre Karagöz, consentito, contro le riprovazioni dei musulmani rigoristi, dalla setta dei sufi e diffuso largamente nei paesi limitrofi”10.

Una variante di questa leggenda sull’origine del teatro delle ombre turco11, è quella secondo cui il sultano ordinò al suo visir sotto minaccia di morte di far rivivere i suoi due giullari Karagöz e Hacivat. Il visir si rivolse a un derviscio che catturò due grossi pesci, li scuoiò, gli diede forma umana e li fece apparire dietro una tenda12.

Questa leggenda ha un parallelo nella tradizione cinese13 (ed è presente anche a Giava). La leggenda cinese fa risalire la nascita del teatro d'ombre a un certo Sha-weng, il quale, nascosto dietro una tenda, realizzò su questo schermo l'immagine della favorita dell'imperatore Wu, morta da poco tempo, e oggetto di disperato rimpianto.

Un’altra leggenda sull’origine del teatro delle ombre14 narra che viveva a Istanbul un amministratore assai corrotto. Un uomo voleva informare il sultano della sua cattiva amministrazione, e, poiché non poteva raggiungere il sultano stesso, decise di allestire uno spettacolo d’ombre nella speranza che egli andasse a vederlo. Così avvenne. Il sultano vide lo spettacolo, e riconobbe l’uomo corrotto rappresentato nel teatro d’ombre. Di conseguenza lo punì e insignì l’organizzatore dello spettacolo del titolo onorifico di Visir.

Secondo Metin And la mancanza di prove sull’esistenza del teatro d’ombre in Asia centrale e in Persia rende problematica una sua provenienza diretta dalla Cina, attraverso il Turkestan, da cui invece proverrebbero gli spettacoli di marionette.

Di diversa opinione sono altri studiosi15, secondo i quali presso i turchi dell’Asia centrale, il “gioco delle ombre”, è menzionato fin dai secoli XII-XIII in età selgiuchide e dopo l’invasione mongola. E con essi arrivò in Anatolia, nei territori conquistati a Bisanzio.

Si chiamava khayāl (“figura, immagine”) o hayal, e in particolare il teatro delle ombre era il khayāl az-zill .

È infine interessante notare l’importanza di alcune fonti letterarie persiane e turche che fanno riferimento al teatro d’ombre in epoca piuttosto remota, a testimoniare della conoscenza di questa pratica e della sua forte valenza magico-simbolica.

Inoltre gli studiosi Pertev Boratav16 e Fan Pen Chen17 fanno riferimento al poeta sufi persiano Farid Al-din Attar (XII-XIII secolo), che nell’opera a lui attribuita Ushtur nama fa riferimento ad un maestro d’ombre visto a Khorasan (nell’est dell’Iran dove risiedevano tribù nomadi provenienti dal Turkestan), che per il poeta diventa il simbolo dell’autorità divina sul destino dell’uomo, esprimendo la sua visione mistica del mondo. Sempre Pertev Boratav, inoltre, riporta la descrizione di uno spettacolo di marionette fatta da Kashifi, nel Futuwwat nama (testo fondamentale per il sufismo persiano), in cui lo spettacolo diventa espressione del disegno divino del mondo.

Concluderei questo percorso nomadico tra le ombre del teatro con alcuni versi tratti dal poema Rubaiyat del celebre poeta mistico persiano Omar Khayyam (c.1050-1123) che scrive:

Non siamo nulla di più che una sequenza in movimento,
di magiche figure d’ombre che girano
illuminate da una lanterna tenuta
a mezzanotte dal Maestro dello Spettacolo

 

Il personaggio di Karagöz - un briccone poco divino

Protagonisti del teatro delle ombre turco sono Hacivat e Karagöz, una coppia comica, su cui si imperniano tutte le vicende di questo teatro.

Il personaggio da cui prende il nome questa forma di spettacolo è Karagöz, che in turco significa “occhio nero” (kara “nero” e göz “occhio”).

Sicuramente un antieroe comico, che ricorda tutta una corolla di personaggi della tradizione teatrale comica occidentale, da Zanni a Pulcinella, ad Arlecchino per la Commedia dell’arte, dal Punch inglese al Guignol francese, da Pickelhëring a Old-Vice, all’antica maschera atellana di Maccus.

Karagöz non è un personaggio dalle buone maniere, esprime uno spirito popolare e ‘di pancia’. Sempre in cerca di lavoro, è un personaggio della marginalità, come tutti i protagonisti della comicità che abbiamo menzionato. È un trickster, che spesso rimane vittima dei suoi stessi imbrogli e che ha una particolare propensione a cacciarsi nei guai. Il suo compagno Hacivat, deuteragonista e ‘spalla’ di Karagöz, è un uomo di buon senso, socialmente rispettabile, e talvolta anche individualista e calcolatore.

Figura socialmente emarginata, di ceto umile, Karagöz diviene suo malgrado il protagonista dell’azione e le sue azioni finiscono per assumere un carattere di straordinarietà. Tale carattere di straordinarietà è innescato da un meccanismo di azione che sovverte i codici sociali costituiti e investe in un movimento comico irresistibile sia personaggi della vita quotidiana, che creature fantastiche, come jinn, demoni, streghe.

Karagöz, da vero eroe comico, pensa, progetta e mette in atto da sé le sue imprese. Egli è l’unico in grado di poter compiere l’impresa, tant’è che la sua eccezionalità di manifesta a volte in azioni incredibili: dalla capacità di volare alla trasformazione in animale o in oggetto (un ponte o un palo ad esempio), dall’allungamento di parti del corpo, all’esercizio di poteri magici. La vis comica di Karagöz può esplodere nell’imprevisto, nel lazzo, nel doppio senso, nel suono lanciato acuto e sovraumano, in piroette, in discese in picchiata dal cielo, in un ibridismo tra umano e animale.

‘Carnevalesca’ figura del sovvertimento, Karagöz esprime appieno lo spirito dei giullari e dei buffoni, che hanno avuto un ruolo importantissimo nella ricchissima cultura teatrale turca.

Karagöz fonde e mescola elementi della tradizione popolare spettacolare, della musica, dell’arte della miniatura, della poesia e della tradizione orale dei cantastorie (meddah e așik), del teatro delle marionette Kukla (anche nel teatro dei burattini turco i protagonisti sono una coppia comica Ihtyar, il vecchio, e Ibis, il suo servo).

Figure di buffoni molto presenti nel teatro tradizionale turco erano i Nekre, clown che intrattenevano con le proprie buffonate, mentre si esibivano i danzatori (çengis, quasi sempre uomini travestiti da donne, detti anche köçek o tavșan) e i Curcunabaz. I clown, i buffoni e i giullari eseguivano danze comiche, a volte usavano maschere e i loro modi grotteschi e osceni contrastavano, con effetti alquanto comici, con la danza aggraziata e sensuale dei çengis.

“In genere questa forma di danza era chiamata curcuna, che significa più o meno ‘baldoria dell’ebbrezza’ e i performer erano chiamati curcunabaz18. Erano in stretta relazione con i danzatori e facevano parte delle stesse compagnie degli acrobati e dei saltimbanchi. Vi era sempre una fusione tra danza, musica, teatro, acrobatica, come elementi di uno stesso contesto spettacolare.

I giullari indossavano berretti a punta, che caratterizzano la figura del buffone anche in altre culture teatrali, e costumi grotteschi a tinte vivaci, a volte anche maschere di animali.

Le forme del comico costituiscono quindi un elemento centrale nella sincretica cultura teatrale turca, di cui un’altra espressione principale è l’Orta oyunu (Oyun “rappresentazione, spettacolo”, orta “di mezzo”), forma di teatro popolare ‘d’improvvisazione’, le cui prime testimonianze risalgono XVI-XVII secolo, imparentata ai monologhi e alle parodie dei meddah (cantastorie), e che traspone sulla scena, con la presenza in carne e ossa degli attori, la coppia comica di Hacivat e Karagöz, attraverso i personaggi di Pișekar e Kawuklu.

L’ambiguità, la contraddittorietà di Karagöz incarnano quello che è stato definito come allomorfismo dell’eroe comico, che si esalta nel vitalismo di imprese che superano ogni logica ordinaria.

Tutte figure della marginalità, quelle comiche capaci di attuare, attraverso azioni paradossali e incredibili, un rovesciamento dell’ordine e del pensiero ordinario che si muovono su un piano non realistico, ma al contrario, di ridefinizione dei caratteri del reale, in senso anti-realistico, surreale, magico, cioè di creazione di una ‘realtà’ altra19.

“Ci sono diversi elementi che fanno pensare che la satira politica e sociale era alla base dei primi spettacoli di Karagöz [durante l’Impero Ottomano], almeno fino all’epoca del sultano Abdülaziz e Abdülhamit II20, quando la censura divenne molto severa”21. Ci sono vari resoconti di spettacoli in cui vengono presi di mira uomini politici, alti dignitari, ambasciatori stranieri, ministri e persino il sultano22. La satira politica e l’espressione di sentimenti popolari contro gli abusi del potere erano espressi attraverso una comicità corrosiva, che poteva anche urtare la ‘sensibilità’ del potere e di autorità non troppo corrive.

 

L’oscenità di Karagöz

Tratto fondamentale di Karagöz è la sua oltraggiosità e licenziosità, in cui si sprigiona un’attitudine oscena, che pur non esaurendosi nell’aspetto dell’esuberanza erotico-sessuale (ma che può esprimersi anche, ad esempio, in violenza verbale e fisica), in essa trova un’espressione esilarante e potente.

E qui giungiamo ad uno degli aspetti, anzi ad una delle trasformazioni più dibattute di Karagöz, di cui rimangono alcune immagini23, e che trova ampia testimonianza nelle cronache dei viaggiatori occidentali del XIX secolo: il Karagöz falloforico e osceno, che esibisce sfrontatamente la sua fisicità e il suo fallo, senza alcun velo.

Molti sono gli scrittori occidentali che ne hanno parlato: Pietro della Valle nel XVII secolo, e nel XIX Gérard de Nerval, Edmondo De Amicis, Guy de Maupassant, Charles Rolland, Pierre Loti.

Ma è soprattutto Théophile Gautier (1811-1872), che nel suo libro Costantinople, pubblicato nel 1853, dedica un intero capitolo a Karagöz, descrivendolo “come un mélange di stupidità (bȇtise), lussuria e astuzia”.

“Con i loro begli occhi stupiti e rapiti, spalancati come fiori neri, guardavano Karagöz che si dedicava ai suoi saturnali impuri, godendo di tutti i suoi mostruosi capricci. Ogni prodezza erotica strappava a questi angioletti, ingenuamente corrotti, degli scoppi di risa argentine e battiti di mani a non finire (….) per queste folli atellane, in cui le scene lascive di Aristofane si combinavano ai sogni burleschi di Rabelais”.24

Gautier segnala di fatto la presenza di due tipi di spettacolo: uno ‘decoroso’, l’altro ‘licenzioso’. E parla di una versione di Karagöz non censurata, lamentando la presenza di una censura dell’aspetto osceno ed erotico di Karagöz. Tanto che Karagöz, dice Gautier, sembra aver subito nel tempo “una vera e propria castrazione”, diventando un “pulcinella senza bastone, un satiro senza corna”, e perdendo così molta parte della sua originalità.

Edmondo De Amicis (1846-1908), nel suo reportage di viaggio Costantinopoli25(pubblicato nel 1877) parla con indignazione di Karagöz, in cui egli vede condensata tutta la lascivia dell’uomo turco, e si lancia in caustici giudizi morali.

“Egli è un quissimile, ma depravato, di Pulcinella: sciocco, furbo e cinico, lussurioso come un satiro, sboccato come una baldracca, e fa ridere, anzi urlare d'entusiasmo l'uditorio con ogni sorta di lazzi, di bisticci e di gesticolamenti stravaganti, che sono o nascondono ordinariamente un'oscenità. E di che natura siano queste oscenità, è facile immaginarlo quando si sappia che se Caragheus nello spirito somiglia a Pulcinella, nel corpo somiglia a Priapo; della quale somiglianza, prima che la censura restringesse d'alquanto la sua libertà sconfinata, egli dava tratto tratto la prova visibile alla platea, e spesso tutta la commedia girava sopra questo nobilissimo perno”.

A proposito dell’oscenità di Karagöz, Metin And sottolinea le relazioni tra il teatro popolare turco e le sue forme comiche26, con i riti di fertilità anatolici, con le feste legate alle figure di Dioniso, Attis, Osiride, o ai misteri eleusini, e con i rituali carnevaleschi, come il Porsug, che hanno attraversato, trasformandosi, le forme teatrali ed espressive in Anatolia27.

Prendendo in considerazione le regioni del Mediterraneo orientale e quelle dell’Asia Centrale, ne risulta un panorama incredibilmente ricco di transiti culturali (un tratto essenziale delle popolazioni turche in Asia Centrale erano proprio il loro nomadismo), di scambi, di mutuazioni, in cui gli intrecci culturali sono talvolta inestricabili.

Si pensi che prima della penetrazione dell’Islam del VI sec. si ha notizia in questa zona di alcuni apporti teatrali dall’India. Diverse fonti storiche testimoniano il passaggio di zingari, danzatori e musicisti attraverso l’altopiano iraniano, attestando che le tradizioni teatrali dell’India erano conosciute nell’impero sassanide (225-652).

Molti zingari presenti a Bisanzio, provenienti soprattutto dal Rajastan indiano, erano dediti alle arti dello spettacolo: giullari, mimi, cantastorie, danzatori, musicisti.

Secondo lo studioso tedesco Carl Niessen28 il ruolo giocato dai zigani nel campo delle arti dello spettacolo e delle farse è notevole, ed anche il contributo alla loro diffusione. Lo scrittore e viaggiatore Evlija Çelebi li nomina più volte come facenti parte della corporazione degli attori nel XVII secolo. Inoltre l’antico termine kol, che indicava una compagnia di attori di farse, indica anche i musicisti zigani.

Un apporto importante veniva anche dagli artisti armeni, greci ed ebrei. Per quanto riguarda questi ultimi occorre sottolineare che oltre 20.000 ebrei giunsero nell’impero ottomano, dove trovarono rifugio, dopo l’espulsione dalla Spagna, dal Portogallo e da altri paesi europei, tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. L’impero ottomano aveva conquistato Istanbul nel 1453, eletta a nuova capitale, ed era nel momento di massima espansione. La maggior parte degli ebrei erano medici, buffoni e giullari, e in Turchia si distinguevano particolarmente per la loro abilità nell’animazione di marionette e nei giochi di prestigio. Considerati da alcuni studiosi come un possibile trait-d’union tra la Commedia dell’artee il teatro comico turco (oltre alla comunità italiana stanziata a Istanbul dal Medioevo che svolse un ruolo rilevante per la conoscenza della Commedia dell’Arte), avrebbero forse già conosciuto il teatro delle ombre in Spagna, dove si ha testimonianza delle cosiddette ombres chinoises.

In questo quadro risulta interessante un paragone tra la figura di Karagöz e quella dello Zanni, nella Commedia dell’Arte. Lo Zanni (ricordiamo che anche qui c’è uno Zanni ‘cortese’ e, il suo alter ego, lo Zanni ‘osceno’) è colui che tira l’intrigo, il Briccone Divino, il Trickster. Figura estremamente importante, capricciosa, infantile, oscena, lo Zanni mostra i suoi evidenti legami con il buffone e i riti carnevaleschi e si lega alle figure di Pulcinella e Arlecchino che, anche nelle maschere e negli abiti, presentano caratteristiche ctonie e infernali.

Se gli elementi di scandalo della Commedia risiedevano nell’aspetto buffonesco, nell’oscenità propiziata dal trickster, nell’esibizione dell’immagine femminile, nella derisione dei Vecchi, nella vena erotico-sentimentale, l’azione di addomesticamento si eserciterà proprio su questi elementi, depotenziando il potere di sovversione del caos, a vantaggio di una “ridicolosità urbana”, “che non è più epifania dell’Osceno, ma perpetua allusione all’osceno, non più potenzialità del Comico carnevalesco, ma un ridere “urbanamente” ad ogni costo”29.

Un destino che sembra accomunare queste due forme del comico e i loro protagonisti Karagöz e Zanni.



Note con rimando al testo

1 Le tesi di Richard Pischel e Georg Jacob sono riportate da Metin And in varie sue opere tra cui Théȃtre d’ombres turc, Editon Dost, Ankara, 1977, pag.26. Secondo And le due opere più significative dei due studiosi risultano essere: PISCHEL R., Die heimat des Puppenspiel, Halle, 1900 e JACOB. G.,Geschichte des Schattentheaters, Hannover 1925 (1 edizione Berlino, 1907)

2 AND METIN,Théȃtre d’ombres turc, Editon Dost, Ankara, 1977, pag.27. Vedi anche dello stesso autore Drama at the crossroads-Turkish performing arts. Link past and present, East and West, The Isis Press, Istanbul, 1991 pagg.9-10

3 PEN CHEN FAN, Shadow theatres of the World, Asian Folklore Studies, vol.62, 2003, pag.30

4 Per uno studio completo sulla figura e sui testi di Ibn Danyial si rimanda a CORRAO FRANCESCA M., Il riso, il comico e la festa al Cairo nel XIII secolo- Il teatro delle ombre di Ibn Danyial, Istituto per l’Oriente, Roma, 1996. Altri documenti scritti presenti in Egitto sono il li’b al-manarah (sec.XVI, sul faro di Alessandria) e il li’b at-timsah (gioco del coccodrillo) citati da R.E., Karagöz, in Enciclopedia dello spettacolo, Le Maschere, Roma, 1954-1968, pag.881, (Fondo D’Amico-Università del Salento)

5 AND METIN, Drama at the crossroads-Turkish performing arts. Link past and present, East and West, The Isis Press, Istanbul, 1991, pagg.10-11

6 Con l’Impero selgiuchide e la profonda crisi dell’Impero bizantino, sancita poi in via definitiva con la conquista ottomana di Costantinopoli nel 1453

7 Vedi a tal proposito AND METIN, Turchia, in Enciclopedia dello spettacolo, Le Maschere, Roma, 1954-1968, pagg. 1167 (Fondo D’Amico-Università del Salento) eAND METIN, Drama at the crossroads-Turkish performing arts. Link past and present, East and West, The Isis Press, Istanbul, 1991. Inoltre per un panorama delle complesse pratiche sciamanistiche in Asia e le loro influenze sulle forme teatrali delle varie regioni si veda NIESSEN CARL, Handbuch der Theater-Wissenschaft, Verlag Lechte, Emsdetten, 1958 (per le arti dello spettacolo in Turchia, pagg. 1239-1254). (Fondo D’Amico-Università del Salento)

8 Per conoscere le diverse varianti delle leggende si veda K.F. FLÖGEL - M. BAUER, Geschichte des Grotesk-Komischen, G. Müller, Münich, 1914, pag.3, e AND METIN, Théȃtre d’ombres turc, Editon Dost, Ankara, 1977, pagg.41-43

9 E’ interessante la relazione tra la leggenda di Karagöz e il valore metaforico-mistico del “perdere la testa” nei poemi del poeta sufi persiano Farid Al-Din Attar.

10 AND METIN, Turchia, in Enciclopedia dello spettacolo, Le Maschere, Roma, 1954-1968, pag.1167 (Fondo D’Amico-Università del Salento)

11 In K.F. FLÖGEL - M. BAUER, Geschichte des Grotesk-Komischen, G. Müller, Münich, 1914. (Fondo D’Amico)

12 In altre varianti nell’episodio di Karagöz e Hacivat scompare l’epilogo delle ombre. In una di queste Küșteri mostrò al loro posto delle babbucce gialle. In un’altra, giustiziati dal visir e non dal sultano, i due presero le proprie teste sotto il braccio ed andarono a protestare dal sultano.

13Le somiglianze tra il teatro delle ombre turco e quello cinese sono diverse e riguardano soprattutto le tecniche di manipolazione, la trasparenza, le misure delle figure e il fatto di essere colorate. A tal proposito di veda l’interessante paragone fatto dallo studioso cinese Fan Pen Chen tra la figura principale del teatro d’ombre del nord-est della Cina, Big Hand, e Karagöz, in «Asian Folklore Studies», volume 62, 2003, pagg.41-42

14Per le diverse varianti delle leggende fondative di Karagöz vedi K.F. FLÖGEL - M. BAUER, Geschichte des Grotesk-Komischen,g. Müller, Münich, 1914, pagg. 2-5 (Fondo D’Amico-Università del Salento) e AND METIN, Théȃtre d’ombres turc, Editon Dost, Ankara, 1977.

15ETTORE ROSSI, Karagöz, in Enciclopedia dello spettacolo, Le Maschere, Roma, 1954-1968, pag.881-883 (Fondo D’Amico-Università del Salento)

16PERTEV N., BORATAV, Karagöz, Encyclopédie de l’Islam, Tome IV, 1989, pagg. 601-603

17 PEN CHEN FAN, Shadow theatres of the World, «Asian Folklore Studies», vol.62, 2003, pagg.25-64

18AND METIN, Drama at the crossroads-Turkish performing arts. Link past and present, East and West, The Isis Press, Istanbul, 1991, pag.100

19Per un’analisi di alcuni aspetti della Commedia dell’arte, tra la copiosa bibliografia sull’argomento, si consiglia ROBERTO TESSARI, Commedia dell’Arte: la Maschera e l’Ombra, Mursia, Milano 2009 (I edizione 1981).

Sui rapporti tra Karagöz e Commedia dell’Arte si veda AND METIN, Drama at the crossroads-Turkish performing arts. Link past and present, East and West, The Isis Press, Istanbul, 1991, pag. 97. Per uno studio sui rapporti tra cultura teatrale italiana e turca, soprattutto in epoca moderna e contemporanea vedi l’opera dello stesso autore: La Scena italiana in Turchia, la Turchia sulle scena italiana, Istituto Italiano di Cultura, Ankara, 2004.

20 Abdülaziz regnò dal 1861-1876; Abdülhamit II gli successe nel 1876 e fu deposto nel 1909.

21 AND METIN,Théȃtre d’ombres turc, Editions Dost, Ankara, 1977, pag.105

22 Ricordiamo, ad esempio, che in Algeria gli spettacoli di Karagöz esprimevano i sentimenti della popolazione contro l’occupazione francese, tanto che i francesi li proibirono nel 1843. Ma nonostante l’interdizione Karagöz sopravvisse fino al 1914. E’ paradossale d’altro canto che in Grecia il ‘Karaghiozis’ si diffuse nel 1821 durante la guerra di liberazione dalla dominazione ottomana, interpretato in chiave nazionalistica e anti-turca.

23K.F. FLÖGEL M. BAUER, Geschichte des Grotesk-Komischen, G. Müller, Münich, 1914, pagg. 3 e 5 (Fondo D’Amico-Università del Salento).

24 GAUTIER THEOPHILE, Costantinople, Michel Lévy Frères Libraires-Editeurs, Paris, 1856, pag.176

25 EDMONDO DE AMICIS, Costantinopoli, Einaudi, Torino, 2007, pag.70

26 Vedi AND METIN, On the dramatic fertility rituals of Anatolian Turkey , in «Asian Folkore Studies», 1978 e, dello stesso autore, Drama at the crossroads-Turkish performing arts. Link past and present, East and West, The Isis Press, Istanbul, 1991.

27 Molto interessante (anche perché ricorda le statuette ctonie di corpi femminili con un tronco su cui è raffigurato il volto, che si fonde col sesso, legate alla figura di Baubo, probabile mito fondativo del comico) è il Kasnak, una pratica diffusa tra i contadini dell’Anatolia, in cui gli uomini nascondono la testa e le braccia con una copertura a forma di turbante e portano disegnato sul proprio ventre nudo un grande volto, con braccia posticce attaccate al bacino, in modo da apparire come un nano dalla grande faccia. Con movimenti pelvici la faccia sembra sorridere oppure piangere.

28 CARL NIESSEN, Handbuch der Theater Wissenschaft, Verlag Lechte, Emsdetten, 1958, pagg.1240-1252

29 ROBERTO TESSARI, Commedia dell’Arte: la Maschera e l’Ombra, Mursia, Milano 2009 (I edizione 1981)