Il tempo della scommessa

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 Abstract
Il tempo della scommessa

La grande diffusione del fenomeno del gioco d’azzardo, in particolare on-line, riporta alla luce la profondità del nesso fra struttura del tempo e struttura del capitalismo informazionale. L’uomo è un animale che scommette sul tempo e che specula sulle proprie azioni. Ma la speculazione è anche il centro logico del capitalismo. Lo scopo del saggio è di tracciare qualche analisi intorno a questi nodi, partendo dai dati di un’assenza di lavoro che determina un’alienazione negativa e delle analogie fra il web-gambler e il web-broker. Soffermandosi sui problemi della percezione e del chiasma attività/passività dell’on-line come nuovo livello tecno-antropologico del problema del tempo, grazie a un percorso fra Dostoevskij, Bataille e Gargani il saggio si chiede se uno smarcamento dal sistema speculativo-capitalistico possa essere ancora tentato. Pur non uscendo da questo scenario pessimistico, il saggio tenta di valutare gli spazi possibili oggi per un savoir che consenta una positiva alienazione dal tempo, ottenibile mediante l’incorporazione del caso e della chance nella morfologia del pensiero. La questione finale è quella se, lasciando un ruolo al corpo e alle sue esitazioni, si possa ancora prendere (il) tempo.

  

The Time of Gambling

Gambling’s proliferation, especially its on-line version, highlights the existence of a deep-rooted bond between the structure of time and the structure of informational capitalism. Gambling on time-related events and speculating of the outcome of one’s actions is fairly characteristic of the human species in general, but gambling is also at the logical core of capitalism. The paper examines several aspects of this topic, starting from today’s severe paucity of jobs (which determines a negative alienation) and stressing the analogies between the web-gambler and the web-broker. Moving from the perception and activity/passivity chiasm of being on-line (considered as a new techno-anthropological level of the question of time itself) and across a theoretical field leading through Dostoevskij, Bataille and Gargani, the paper inquires into the possibility of breaking out from the speculative-capitalist system. Without eschewing the pessimistic context, the author speculates as to whether there may be a savoir allowing for a positive alienation from time by incorporating chance into thought. Is it still possible to take time so as to accord a place to the body and its hesitancies?
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Per quanto fosse ridicolo che io mi aspettassi tanto dalla
roulette, mi sembra ancora più ridicola l’opinione corrente, ammessa da tutti, che sia sciocco e assurdo aspettarsi qualcosa dal gioco. E perché il gioco sarebbe peggiore di qualsiasi altro mezzo di far denaro, per esempio, magari del commercio? È vero che vince uno su cento. Ma che me ne importa?

Fëdor Dostoevskij, Il giocatore

 

 

Non v’è più razionalità nello schema logico del principio del terzo escluso di quanta ve ne sia nella situazione pratica della scommessa.

Aldo Giorgio Gargani, Il sapere senza fondamenti

 

 

 

Prima premessa: il tempo della scommessa

Se, fra qualche centinaia di anni, uno storico ricostruisse i tratti dominanti delle società (cosiddette) avanzate odierne, riserverebbe più di una pagina al fenomeno del gioco d’azzardo. C’è da scommetterci. Forse annoterebbe la lunga tradizione dell’azzardo, dal lancio dei dadi (in arabo, dado si dice al-zahr) o degli astragali sino alle forme più sofisticate di slot-machine, video poker e app per smartphone. Probabilmente osserverebbe l’evoluzione degli spazi del gioco, la qualità sin dall’origine de-situata fra esclusione sociale e zone franche concesse dal potere: in epoca romana i saturnali, nel medioevo le baratterie, per giungere sino a codificazioni a noi più prossime, come i casinò ottocenteschi sino a quelle cripte di fine millennio, sfolgoranti enigmi di nulla e di luci, che sono le sale bingo. Ma una cosa è certa: non potrebbe trascurare l’enorme incremento, nel giro relativamente breve di anni, del ricorso al gioco d’azzardo, individuandone nella pervasività e urgenza un elemento socio-economico cardine della tarda postmodernità. Credo non trascurerebbe un altro dato: la sincronia tra questa crescita del gioco e quella di altri fenomeni, quali la perdita di certezze lavorative, economiche ed esistenziali, e la depressione dei sistemi produttivi. La relazione fra perdita di lavoro e aumento del tempo di gioco potrebbe descrivere efficacemente la ritmica fondamentale dell’epoca: rarefazione e depressione da una parte, eccesso ed eccitazione dall’altra. Capitalismo della scommessa e malinconiche derive del lavoro1 (un lavoro che va alla deriva sulla sfera globale) sono due movimenti entro un medesimo movimento: la respirazione dell’epoca (dilatazione e contrazione).

Ludomania o ludopatia, surrogato lavorativo o fonte per il fisco nazionale (o, alternativamente, per le casse della malavita), la scommessa è un fenomeno pervasivo del nostro mondo storico-sociale. Giocare d’azzardo tenta un numero crescente di persone e ingenera un giro di denaro non più trascurabile. In Italia, alcune ricerche dimostrano che circa la metà degli studenti fra i 15 e i 18 anni ne sono coinvolti2, e in prospettiva le nuove generazioni digital natives, predisposte all’interconnessione e allo sharing metodico quasi irriflesso, saranno forse interessate da queste nuove morfologie di addiction. Stiamo entrando forse nell’epoca della gamification3 del mondo? Un’epoca, cioè, in cui l’azzardo, passando rapidamente dallo stadio dei casual games a quello dell’interconnessione, sfida i confini soltanto ludici della scommessa, prospettando un universo di relazioni alterate della percezione gioco/lavoro, virtualità/realtà? Nel recente volume Slot city, Marco Dotti ha sintetizzato i motivi maggiori che animano questo scenario “gamificante” e marcano il suo intreccio sempre più fitto con la dinamiche capitalistiche: «il gioco entra in quadro più complessivo del capitalismo post-industriale, quasi rappresentandone la quintessenza. Non si tratta più di produrre valore (una casa, un oggetto, un artefatto), ma di estrarre valore dal potenziale stesso delle vite umane, prosciugandone l’ecosistema complessivo […]. Oggi è nel lavoro che si spende l’energia minima ed è nel gioco che si impiega il massimo dell’energia. È una condizione paradossale, ma è su questa condizione paradossale che il capitalismo si regge. Questo capitalismo gioca d’azzardo, letteralmente, con la vita stessa»4.

In questo quadro il caso della scommessa on-line, pur se ancora minoritario in termini numerici, è fortemente sintomatologico. La semi-ipnosi cui il web-gambler si abbandona volontariamente prolunga e sostituisce lo stato di rapimento tradizionale del giocatore, riconfigurando intimamente la condizione di soggetto-che-gioca e che-tenta-la-sorte all’interno di una zona grigia dove, come in molti analoghi dispositivi mediali, non sappiamo quanta parte spetti all’interattività e quanta all’interpassività5. Rispetto alla millenaria forma della scommessa, la differenza è l’essere interconnesso del giocatore: muta il rapporto fisico con la macchina mangia soldi. In altri termini, nella scommessa on-line cambia la natura della relazione soggetto-macchina, la quale, è pleonastico dirlo, è una fra le relazioni fondamentali per comprendere la modernità. Ma oggi tale relazione non è più localmente determinata. La macchina mangia soldi è anch’essa più rarefatta, più virtuale e potente: più ironica. Ciò non solo per la ragione che manca il lato materiale del denaro, nella forma del gettone. Nel dispositivo virtuale la macchina si delocalizza; non sparisce, ma si allontana: la mia giocata in una videolottery viaggia nelle interconnessioni invisibili della rete, elaborata “in remoto” da qualche server inesplorabile6. A ciò va aggiunta la diffusione congiunta di cloud technologies e di periferiche ingannevolmente user friendly: da un lato supporti come carte di credito sempre più predisposte al prelievo poco consapevole, entro protocolli di home banking sempre più easy, dunque potenzialmente più “aperti” al gioco; dall’altro lato, terminali portatili wireless, che garantiscono l’interconnessione ovunque e in ogni istante del giorno e della notte. La combinazione di questi fattori potrebbe in breve tempo rendere realtà il sogno (cioè l’incubo) del flusso continuo di denaro smaterializzato. Alla velocità della luce, o poco meno, si svuotano le tasche del gambler e, con accelerazioni inedite, ingenti quantità di capitali scorrono dalle periferie sino ai grandi centri di raccolta “naturali”.

Il web-gambler è strutturalmente l’analogon del web-broker, protagonista dell’attività, in forte crescita anch’essa, di trading on-line. Entrambi sono giocatori d’azzardo nella rete globale: speculano o scommettono. Se, per un istante, proviamo a immaginarne una diffusione capillare globale, ecco che si materializzerà la figura più parodistica e incredibile fra tutte quelle ingenerate dall’illusione capitalistica, ossia quella di un capitalismo di massa.

Ma le coordinate del problema sono più complesse. In questi processi, al di sotto del semplice gioco di una scommessa si gioca anche una riconfigurazione della forma della nostra soggettività. Ci si crede attivi, o interattivi, ma in realtà si è parzialmente tele-guidati dalla rete, di cui incorporiamo gli automatismi. Il web-gambler realizza quindi, per esempio nei momenti di culmine o nell’interludio fra puntata ed esito, un interessante ibrido dove l’attività è interpenetrata dalla passività e viceversa. Come nota ancora Dotti, il soggetto rapito dal gioco d’azzardo è un «soggetto in cui l’accumulo di esperienza coincide oramai con l’impoverimento progressivo del vissuto. Ecco che allora, in questo rapporto complesso di azioni e retroazioni, le nuove tecnologie finiscono per provocare altrettanto “nuove” dipendenze. Le Technological addictions sono tanto più problematiche, quanto più si innestano sotto pelle, nel tessuto connettivo di un capitalismo informazionale che dà sfogo a una socialità tutta nuova, per molti versi positiva, ma al prezzo di escludere da sé ogni negativo”7.

Proviamo a fare un passo ancora oltre, immaginando scenari non molto lontani dove, mediante computer indossabili, protesi di nuova generazione, come i Google Glass, e un’ipertrofia di schermi touch, la frontiera fra noi e il terminale della scommessa on-line sarà ancora meno marcata. Ciò prefigura un quadro in cui tutto il movimento degli arti, la muscolatura involontaria e quella degli occhi, la facoltà stessa dell’attenzione potranno essere riconfigurati non da un meccanismo semplicemente oppositivo rispetto alla macchina, ma da un’ibridazione tecno-vitale sistematica, come anche recentemente notato, sia pure partendo da impostazioni diverse, nei testi di Stéphan Vial, L’être et l’écran8 e di Bernard Stiegler, Il chiaroscuro della rete9. La protesi interconnessa pre-orienta il movimento (per esempio quello degli occhi e della mano), suggerendo al corpo quali mappe esplorare, quali luoghi sulla mappa, e di qui, quali icone cliccare, ma anche: quali tempi preferire e quali indirizzi web desiderare, secondo logiche riconducibili ai dispositivi del capitalismo cognitivo avanzato (vedi l’algoritmo PageRank, cioè quello che pilota ormai le nostre ricerche fatte con Google10, oppure le tecniche del neuro-imaging applicate al neuromarketing).

Si potrebbe allora scommettere mentre si cammina, mentre si mangia, mentre si scrive. Mentre si dorme, forse. Ma a che prezzo? Qual è il sovra-prezzo da pagare per questa nuova forma di plus-valore senza processo produttivo? Da questo punto di vista, una riflessione circa la qualità biopolitica del problema, come pure intorno al tema del biocapitalismo11, appare certamente un elemento necessario per un pensiero critico. Ma è un elemento filosoficamente sufficiente? Il sentimento vago di mancanza di spiegazione che accompagna lo sguardo su tali fenomeni, non è casuale. Credo si stia aprendo, proprio in questi anni, un orizzonte “altro” in cui le nostre concezioni filosofiche della percezione, del corpo, della vita stessa in ciò che essa ha di più oscuro, si mostrano se non perdenti, quantomeno inadeguate.

In questo saggio non viene proposta un’analisi esaustiva e sistematica del tema della scommessa messo in rapporto a questi motivi (capitalismo finanziario informatico, filosofia della tecnologia digitale, net-antropologia, questione della corporeità e della percezione alterata), ma ci si limita a circoscrivere qualche domanda preliminare intorno a un nodo strategico, ossia il problema del tempo. Qual è il rapporto reale fra la scommessa e il tempo? La prima ipotesi è che, ponendo come filtro teorico le strutture della scommessa e della speculazione, emerge un isomorfismo fra la struttura del tempo e la struttura del capitalismo. Sono allora necessarie altre due premesse. Una ci ricorda l’aspetto esistenziale della scommessa e della speculazione; l’altra ci ricorda che il rapporto col tempo predisposto dalla speculazione è il centro logico del meccanismo capitalista.

 

Seconda premessa: speculazione esistenziale

Viviamo nel tempo della scommessa e il tempo della scommessa. Tuttavia, noi non sappiamo ancora che cosa sia il tempo, né la temporalità (intesa come la nostra relazione col tempo). La pervasività epocale della scommessa, il suo essere-alla-mano come Zuhandenheit, per dirla con Heidegger (autore che ritornerà nelle nostre analisi, sebbene non sempre in modo esplicito) è l’utilizzabilità che ne fa oggetto di una forma pragmatica su scala planetaria. Ma questa utilizzabilità non rivela soltanto il nesso profondo col capitalismo. L’emersione di questo fenomeno ci ricorda un fatto fondamentale e, come tale, oggetto di oblio sistematico: nel nostro rapporto col tempo è già inscritta una profonda relazione con la struttura della scommessa.

L’affidare al caso quote crescenti del proprio futuro (in termini sociali e individuali) cui oggi si assiste, esprime forse qualcosa di più originario, che si riallaccia al tema generale della speculazione. Speculare è sinonimo di attività riflessiva, ma anche di astuzia volta a trarre profitto: ottenimento di un ricavo, cioè di plusvalore esistenziale. Ma, soprattutto, speculare significa immettere qualcosa nell’agire, quindi nel momento dello scatto fra il prima e il dopo: ossia nel cuore atemporale del tempo. Questo qualcosa è una prefigurazione, un’anticipazione del tempo, nell’ovvio senso che la mia azione morale, qui e ora, è sempre in vista di una possibilità futura. Ora la struttura temporale della speculazione è identica a quella della scommessa: io non ho certezze, purtuttavia investo in questa scelta. In tal modo, io tento di capitalizzare il passato nel futuro.

In ogni forma di condotta intellettuale umana (da quelle teoriche a quelle pratiche) gioca un ruolo determinate l’aspetto speculativo e, assieme, quello della chance. Prendiamo la morale: in fondo, la morale scommette. L’azione futura del mio corpo (la forma fisica del prossimo istante) resta un enigma in termini di giudizio. Nella ragion pratica il giudizio è sempre ex post: è già, in questo senso, l’equivalente della fase di discesa e caduta del dado (alea). E potrà sempre ac-cadere, come ha osservato Jacques Derrida in D’Ailleurs, Derrida, che una vita ritenuta buona, nobile, bella nel momento dell’ultimo istante, quello della morte, si ribalti, in termini di giudizio, nel suo esatto contrario. La scommessa, in quanto incubo morale, è quindi che «nell’ultimo secondo io apprenda qualche cosa che corrompa o perverta tutta la memoria felice che conservo”12 del mio Erleben. Da questo angolo visuale, la virtualità dell’ultimo istante, in un senso totalmente terrestre e laico, così come la sospensione in vista di una caduta, altro non è se non la legge stessa dell’esposizione del corpo alla chance. E la scienza? Non è essa stessa conoscenza anticipata del reale, e dunque non ha che vedere con una forma di speculazione sul tempo? Strutturalmente pro-gnosi, placebo della nostra incertezza, la scienza è orientata alla riduzione del caso. Il metodo di riduzione dei rischi funziona: tutti sappiamo che mediante le formule della fisica abbiamo costruito grattacieli di oltre cinquecento metri di altezza (ancora in piedi), abbiamo inviato e recuperato navi nello spazio extra-atmosferico, abbiamo scannerizzato anche le più piccole molecole che compongono i corpi. Eppure questa speculazione, che tenta di prefigurare l’ignoto, non lo azzera. Ogni scienziato ne è profondamente consapevole, e subentra oggi, non solo nella scienza ma anche nella tecnologia, una coscienza probabilistica delle cause e degli effetti13 che equivale a una incorporazione del caso nei protocolli logici e normativi. Ne è un esempio il calcolo probabilistico delle strutture, cioè le tecniche di previsione del futuro con cui si progettano, a norma di legge, gli edifici antisismici. Si potrebbe inoltre sostenere che, alla sua maniera, anche l’artista specula. Lo fa quando dipinge, quando scommette su un colore, su una disposizione, su un suono, su un montaggio, in una parola: su una forma (o, persino, sulla sua assenza). Solo dopo saprà se ha vinto o meno la scommessa, quando allontanatosi dalla tela osserverà l’opera, per così dire, dall’esterno. Non si capirebbe l’arte e l’attività artistica qualora la si deprivasse di questo aspetto di speculazione spontanea, di anticipazione del futuro (entro una logica complessa dove l’artista vuole prefigurare l’eccesso stesso della forma). L’artista rischia tutto, ogni volta; ma il rien ne va plus non è il suo irrazionale, ma il centro logico del suo operato, dove, tuttavia, l’opera sarà per lui solo una stasi nel tempo, un provvisorio risultato-prodotto, giacché ogni artista insegue all’infinito la forma: non la realizza mai. Dopo un’opera, è già alla seguente. Dopo una puntata, subito un’altra: dal suo punto di vista, non può che perdere.

Condotta morale, conoscitiva, artistica: la struttura della speculazione è pervasiva nella nostra vita in generale, a tal punto che ce ne dimentichiamo. Una madre, anche se non lo sa, specula su un figlio: tenta di truffare il tempo e scommette sulla propria sopravvivenza differita. Un medico scommette su una terapia: investe e capitalizza il tempo-lavoro in vista di una gratificazione. Ormai, io stesso scommetto su molti aspetti della mia vita. In molte mie azioni prima facie innocue inconsapevolmente io gioco d’azzardo. Acquisto un libro on-line, e sto già speculando/scommettendo sul licenziamento dei dipendenti della distribuzione tradizionale. Il guadagno di tempo per me, la facilità nel compiere le mie ricerche, un aumento virtuale di produttività, può far dimenticare la dolorosa contropartita. E vediamo come anche l’intellettuale “antagonista” costruisca parti della propria teoria critica grazie a queste pratiche speculative. Ma anche sul piano politico generale, ormai tutti i governi giocano d’azzardo, direi in modo sistematico e costituzionalizzato, con la differenza che qui si scommette direttamente sul licenziamento di un certo numero di dipendenti statali (sperando in qualche millesimo di incremento del PIL o altri astratti indici dell’austerity, sui quali i governi non hanno ormai il benché minimo controllo). Questa è la posta di una speculazione finanziaria a pieno titolo, che è però una scommessa sulle nostre esistenze. Se non sull’esistenza dello stesso stato.

E la filosofia, che insegue l’universale, la libertà e l’extra-storico, non è anch’essa, in fondo, una forma di speculazione? Essa è nel tempo. La filosofia è un’attività in vista di un risultato. Non c’è forse, al suo interno, un istinto alla capitalizzazione del sapere prodotto, magari per ottenere un successo o per soddisfare un bisogno, per sfidare (nel senso di “ricerca del vero”) la forma a termine della nostra vita?

Del resto, che cosa sono io, se non un ente che specula su se stesso? che opera in vista di un fine, teso verso un’immagine di me che è soltanto un’anticipazione, un simulacro? che cosa sono io, se non una capitalizzazione di me stesso in vista di qualcos’altro, che non sono io? La scommessa on-line indica anche questo, e cioè che nello speculare su me stesso, alla ricerca di una vincita risolutiva (che risolva il problema della mia auto-immagine, che cioè la eternizzi, sottraendola alle insidie del tempo), io inevitabilmente divento anche oggetto di consumo. Ma quest’oggetto (l’io risolto) è oggetto di consumo direttamente per me. In altre parole: nella scommessa ci si consuma. Contemporaneamente, anche il tempo entra in un processo di trasformazione: esso è consumato, e, oramai, confuso con la non-produzione. Non si produce nulla, nel gioco on-line. Si perde (il) tempo proprio mentre ci si usura: si diviene il proprio usuraio, e ci si logora girando a vuoto nel cerchio del tempo. Il termine usura pare derivi dal latino usum. L’idea dell’usurarsi contiene geneticamente il riferimento al giovarsi di qualcuno, all’atto di speculare su una relazione da cui trarre interesse o profitto. Ma, in questo giro economico di tesi e antitesi, qui sono io che usuro me stesso: da questo punto di vista, cosa rappresenta la scommessa usurante se non la contrazione virtualmente massima della diade soggetto-oggetto? Nell’attimo della scommessa, ovvero nell’esitazione14 fra il lancio del dado e la caduta, come fra il click della puntata e il segnale video dell’esito, può avverarsi quell’apertura senza resistenza al capitale finanziario e al tempo di cui ho già ricordato la pregnanza. In altri termini: nella scommessa, il (mio) consumo accade non in modo indifferente, ma veicolando modificazioni alla circolazione del denaro che accadono in un circolo di retroazioni sempre più accelerate.

 

Terza premessa: la speculazione come centro logico del capitalismo

Viviamo il (e nel) tempo della scommessa. L’aspetto esistenziale di un’esperienza del vissuto sempre più aleatoria e precaria, come un lancio di dadi, va di pari passo con quella di un’epoca marcata dalla facilità con cui i capitali oggi si spostano, si accrescono, o anche si depauperano, nelle invisibili connessioni delle borse che via internet attraversano il globo. Questa configurazione storica non è una variante, ovvero un modo secondario e inessenziale, del dispositivo capitalista-consumista (compresa la forma limite di auto-consumo a sfondo ludico del jobless). L’argomento neoliberista, secondo il quale si tratta di una distorsione del suo buon funzionamento, appare poco convincente. È anzi vero il contrario: ciò che viene in chiaro oggi, in questi scenari drammatici di crisi, non è altro che la manifestazione dell’essenza del capitalismo. In una formula: la speculazione è il centro logicodel capitalismo. La speculazione, che nel giocatore si sostanzia nella scommessa e nell’uomo, in generale, si mostra come prefigurazione irriflessa delle azioni future, nel dispositivo del capitalismo finanziario si esibisce esemplarmente nel gioco d’azzardo borsistico potenziato nel web.

La speculazione appare insomma come la legge più interna del Capitale: il Capitale che alimenta se stesso. L’auto-accumulazione è sia la forma te(le)ologica del denaro (l’idea), sia la descrizione di quanto accade nel tempo (la dynamis). Essere e divenire: l’auto-alimentazione del Capitale indica la centralità della capitalizzazione del tempo. In questo senso l’auto-alimentazione (di quanto già Marx nel libro III de Il Capitale aveva indicato come capitale fittizio15, ossia rendite finanziarie come titoli o azioni, e di cui è ancora oggetto la conclusione dell’opera, La formula trinitaria16) funziona sempre entro una macchina speculativa, che, appunto, è se stessa nel tempo (poiché per esistere innanzitutto specula sul futuro) e nella quale l’elemento essenziale è la prefigurazione. Nulla di particolarmente originale: il Capitale è nella storia, e necessita dunque del tempo. Ma questa necessità del tempo, che struttura l’auto-alimentazione ipertrofica e sempre più virtuale del Capitale, è tale perché solo il tempo garantisce la distensio della proiezione del Capitale in una forma astratta (vuota e sterilmente identica a sé), che rappresenta la sua esistenza come un uscire da sé (verso il futuro: in avanti). Questo permanere sé medesimo pur accrescendosi è la legge paradossale che descrive l’essenza del Capitale. Ma è un essere che si salda col divenire. Risiede precisamente in questa saldatura l’inquietante isomorfismo fra la forma del capitalismo e la forma del tempo.

Anche la strutturazione del nostro mondo storico-sociale ed esistenziale riflette, infatti, questa medesima relazione col tempo. Il capitale finanziario, nella sua essenza tele-tautologica (fine a se stesso in quanto fine di se stesso) si innerva necessariamente nel tempo mediante la struttura temporale dell’anticipazione. Ciò accade secondo una morfologia che è contemporaneamente razionale e ottusa. Da una parte una struttura fortemente organizzatrice delle nostre vite individuali e collettive, cioè la ragione strumentale; dall’altra una struttura in sé stessa deprivata di ragione, di misura e rapporti mediati (ratio), cioè a dire dissipativa e insensata. Slavoj Žižek, prolungando alla sua maniera la riflessione di Marx, individua proprio in questa caratteristica il motore immobile dell’ideologia capitalistico-consumistica: «quando Marx descrive la folle circolazione del Capitale che accresce se stesso in un percorso solipsistico di autofecondazione (che raggiunge il suo apice nelle speculazioni metariflessive contemporanee sulle operazioni a termine), è troppo semplicistico sostenere che lo spettro di questo mostro autogenerantesi, il quale procede indifferente a ogni rapporto umano o ambientale, rappresenti un’astrazione ideologica»17.La circolazione del capitale finanziario è assimilata a un «parassita gigantesco»18 che si nutre delle «risorse produttive»19 dei corpi, ma che, al contempo, siamo noi stessi ad alimentare. Il problema posto da Žižek ha il suo centro nella qualità biunivoca di questa relazione di alimentazione. La struttura della speculazione finanziaria esibisce difatti «il Reale della nostra epoca»20. In termini psicoanalitico-lacaniani, il Reale è ciò che spettralmente ritorna, anche nella filosofia, e infesta l’ordine simbolico, la soggettività, ma anche le azioni apparentemente passive dei corpi. Ma c’è dell’altro: la qualità metariflessiva delle speculazioni è anche il difetto della stessa attività filosofica. La filosofia, da un certo punto di vista, è da sempre costretta, suo malgrado, nel gioco di en abîme del sistema simbolico.Anche la filosofia è una macchina automatica replicante se stessa all’infinito, nella tautologia isomorfa all’assurda ma razionale autonomia del Capitale (che, come detto, si auto-replica da se stesso in vista di se stesso). In quest’ottica, la filosofia riflette attivamente la struttura consumistico-capitalista: essa produce oggetti e consuma i propri oggetti (libri, concetti, teorie, persino i propri errori).

Soffermiamoci un istante sul problema dell’auto-alimentazione del capitale finanziario, giacché su un piano morfologico è questo il dispositivo che unifica la scommessa del gambler alla speculazione borsistica del broker. Quello dell’auto-alimentazione è il medesimo dispositivo che attraversa i corpi e le cose (entrambi sono merci, oggi) e che preforma gli automatismi di questi verso quelle, ossia il desiderio. Ciò indica come l’ideologia consumistico-capitalista condizioni in modo essenziale anche l’ultima facoltà emancipante, ossia quella di sognare e di immaginare una via d’uscita. Il Welt onirico del corpo è anch’esso preformato: l’ideologia, direbbe Žižek, ci ruba i sogni. Essa non li impedisce, ma li pone in una dimensione ipnagogica: li sottrae, ma per reindirizzarli altrove.

Ma quale potrà essere l’altrove del sogno, ossia il centro di gravità nascosto in cui esso andrà a cadere? Questo “luogo” (che non esiste, ma è reale) è il centro logico della speculazione, nel senso già visto in precedenza. Ciò significa che l’ideologia preforma il sogno, assegnandogli anticipatamente la morfologia che lo neutralizzerà. Logicizzando e dissolvendo il sogno, l’ideologia del capitale finanziario costruisce dunque i propri falsi modelli, le sue maschere necessarie per noi, per non perire a causa della verità. La principale maschera resta sempre la stessa: la vincita risolutiva, cui corrisponde il poter fare a meno del denaro.

 

Tempo e capitalismo. La questione dell’alienazione negativa

Concesse queste premesse, la domanda diventa allora la seguente: secondo quali strategie filosofiche è possibile la maturazione di una reale presa di coscienza di questo stato di cose? Quali spazi e quali tempi abbiamo per criticare realmente il sistema delle relazioni materiali e simboliche in cui anche la filosofia è compromessa? In altre parole: è possibile se déplacer rispetto a questa condizione di determinazioni stringenti che impediscono persino la fuga immaginata? Il termine déplacer indica uno spostamento o un de-posizionamento,cioè una de-localizzazione (verbo tipico della globalizzazione industriale) ma anche, sottilmente, l’“essere-spostati” nel senso dell’alienazione folle. La questione riporta, a sua volta, a uno dei classici della filosofia, un topos dove la domanda teoretica si mescola a quella morale: è possibile qualche forma di libertà?

Quanto detto sinora indica come la struttura del tempo replichi la struttura del capitalismo. O viceversa. Dunque come pensare e come agire se persino il sogno, e sotto di esso il corpo che lo produce, è contaminato? Se, cioè, la macchina di riproduzione automatica non solo contiene nel proprio funzionamento il suo doppio limite antropocentrico (iper-razionalismo e follia), ma continuamente li rielabora in vista di nessun fine? Dove la Cosa che si auto-alimenta fagocitando le sue parti è il Capitale, certo, ma può essere sempre anche il tempo? Già i Greci indicarono come il tempo rimanga se stesso auto-alimentandosi dalle proprie parti: chronos si nutriva dei suoi stessi figli.

L’atmosfera claustrofobica spinge alla domanda circa l’evasione da questa configurazione storico-epocale, dove la scommessa, la speculazione e l’alea strutturano ormai ampie falde della nostra esistenza singolare e collettiva.In altri termini, e ribaltando alcuni riferimenti classici: è ancora possibile l’alienazione?Non è un mistero che uno dei grandi problemi dell’eredità marxista in epoca postfordista (dove appare chiara l’equivalenza fra struttura del tempo e struttura del capitalismo) resta quello di pensare la categoria di alienazione. Che ne è dell’alienazione del lavoratore nel momento in cui diminuisce in modo critico il tempo dedicato al lavoro e si rarefanno i rapporti di produzione? Posto che non sarà mai possibile la mancanza totale della produzione “pesante”, tuttavia si assiste oggi nei paesi occidentali a una diminuzione di “densità materiale” nelle relazioni produttive: il lavoro non sparisce, ma non c’è più massa critica.

Tuttavia, come abbiamo visto, il soggetto può ancora alienarsi. L’ex-lavoratore presta la sua opera alla manovalanza della scommessa on-line: la sua è diventata un’alienazione negativa. Tale alienazione, che accade in assenza di lavoro, è un’alienazione molto più radicale: stante la rarefazione delle coordinate abituali (lavorative, esistenziali, economiche, politiche) nella scommessa ci si aliena proiettando se stessi non su un oggetto prodotto, ma sulla sua assenza. Per quanto possa suonare come un’inutile astrazione, ci si proietta direttamente su una struttura più ideale, più immateriale, ossia sulla struttura stessa della speculazione. In questo gioco di rispecchiamenti fra lavoro e assenza, fra gioco e tragedia, fra veglia e sogno, la mancanza di un’effettiva possibilità di trasformazione dell’esistente – nella scommessa – unitamente al depotenziamento delle strutture “forti”, potrebbe avere almeno l’effetto benefico di liberare e rendere leggibile, cioè criticabile a un livello più sostanziale, questa struttura basale?

Ci domanderemo, pertanto, se sia ancora possibile l’alienazione dalla struttura capitalistico-speculativa proprio nel rendersi visibile di ciò che nelle sue analisi sul capitale Marx aveva solo intravisto, cioè a dire il problema del tempo. Ci porremo quindi il problema dell’alienazione negativa in quanto forma organica al tempo.Non si tratta di una domanda fra le altre riguardo al tempo; al contrario, si tratta di costruire una domanda intorno, per esempio, a quali spazi siano possibili per eludere la temporalità occidentale, così fortemente connessa al sistema delle relazioni che la determinano in quanto forma della speculazione (far fruttare il passato per anticipare il futuro). Mirando forse al recupero di una dimensione corporeo-empirica da porre alla base di un’“altra” forma di filosofia, Valerio Magrelli, in alcuni versi raccolti recentemente in Il sangue amaro, s’interroga sullo statuto di quel «totale, corporale asservimento del soggetto al mercato» conseguente all’«incubo della borsa planetaria»: «Incubo della borsa planetaria:/cosa accadrebbe se il rendimento del Sonno/risultasse agganciato/allo spread Btp-Bund?/Dormirò solo in caso di ribasso,/mentre al crollo dei titoli italiani/risponderà l’Insonnia/- dea dell’Assenza e del Vuoto./Totale, corporale asservimento/del soggetto al mercato./Poi mi sono svegliato./Poi mi sono svegliato?»21.

Il punto è esattamente quello segnalato nell’ultimo distico, segnatamente nella sua punteggiatura: in questa fase storica, l’interrogativa si confonde con la constativa. Il totale asservimento del soggetto al mercato, alla finanza, alla scommessa-speculazione, sembra essere il leitmotiv esistenziale in quanto dormiveglia costitutivo dell’uomo post-postmoderno. La pluriennale indagine sul corpo e sul sogno condotta da Magrelli in chiave poetica, in termini filosofici si traspone allora in questa domanda: quale può essere la via d’uscita dal tempo?

Domanda eccessiva, debordante la sua stessa forma logica. Forse la chiave va cercata proprio in quella zona di passaggio fra sogno e veglia, nella momentanea ma necessaria sospensione fra attenzione cosciente e passività, fra resistenza e assoggettamento a questo destino: volens nolens, siamo abitati, “spettralizzati” dalla struttura della speculazione. L’uomo è un animale che scommette. Ma sa di esserlo? Che forma ha questo sapere/non-sapere?

 

Dostoevskij, il denaro e il tempo

Forse, in questa fase storica, un’attualizzazione della parola poetica e letteraria in genere può essere d’aiuto alla filosofia. Prima di considerare alcuni spunti in questa direzione, torniamo al carattere compulsivo della giocata. Incontenibile, a-logica, ma non necessariamente (o del tutto) irrazionale. Prendiamo, come immagine tipo, la giocata alla slot-machine: assenza di contenuto e puro ritmo. Un’immagine difficile da accettare: nell’altro uomo, reso automa dalla game addiction, io in fondo vedo me stesso, cioè vedo la possibilità di una perversione dell’umano: l’automa come inumano nell’uomo. Può la filosofia comprendere questa immagine? In ogni caso, si tratta di un’immagine che, nel suo essere puro ritmo svuotato di ogni contenuto, replica la catena di montaggio22.

L’automatismo del corpo giocante è esso stesso la forma della fabbrica, e ciò accade nella configurazione storica in cui, come detto, il luogo (la fabbrica) si rarefà in vaste aree ex-produttive (spesso colonie, per convesso, della dipendenza da gioco). Tuttavia si tratta sempre di rapporti fra estensione, temporalità e corpo. Più esattamente, si assiste a un’incorporazione degli spazi di trasformazione e di produzione nella soggettività (che diviene in tal modo sempre più individuale e separata dal Welt intersoggettivo). In altri termini, si assiste a un’operazione di embodiment della fabbrica nel corpo ludens; ed allora non resta che il tempo, che è anch’esso sempre più contratto. Ma, si badi bene, è una fabbrica che non produce più nulla, o, meglio, quasi nulla: la fabbrica incorporata (sublimata o inconscia) produce il desiderio della prossima giocata, un oggetto sans fins che equivale alla garanzia di assenza di godimento. Da questo punto di vista, la figura del giocatore che si indebita incarna tutte le figure di uomo indebitato23, ma in modo potenziato. Assieme alla fabbrica egli incorpora anche l’immaginario del superamento della produzione. Il suo corpo convive ormai con la fantasia (o il fantasma) del denaro “assoluto”: un denaro senza circolazione, paradossalmente esterno a ogni economia.

Il romanzo Il giocatore24 di Dostoevskij, in fondo ci parla di questo. Pubblicato nel 1866 (gli stessi mesi in cui lavora a Delitto e castigo) per molte ragioni questo libro sembra percorso, sin dal suo processo di produzione, dal tema del caso: è a suo modo una scommessa. Come noto, Dostoevskij lo realizzò in appena trenta giorni, dettandolo a Anna Grigorievna Snitkina, per riparare a debiti contratti al gioco. En passant notiamo che la sua produzione materiale, la sua scrittura, è sottratta all’automatismo della mano scrivente, come se, mediante il dispositivo fono-grafico del dettato, questo oggetto-prodotto-scritto scivolasse verso la sua stessa sottrazione alla catena di montaggio.

Il giocatore è la descrizione psicologica della situazione dell’azzardo: la febbre della giocata; l’attesa; la cancellazione di ogni storicità dopo l’esito (compulsivamente, vincenti o perdenti, si riprenderà il gioco). Metafora dell’esistenza, che descrive esemplarmente anche il giocatore di oggi. Ma vi è anche la ben nota riflessione dostoevskiana sul tempo: l’attimo della puntata (nel suo essere un culmine che spacca la linearità delle cause e degli effetti) disarticola la temporalità. Nel lancio di un dado, o nella corsa del pallino nel cerchio magico della roulette, il tempo ogni volta si azzera. E si ri-forma. Ciò vale anche, nell’isomorfismo fondamentale del romanzo, per le passioni dell’homo ludicus (per riprendere la terminologia di Peppino Ortoleva25), che anticipano quelle del gambler-broker anche negli aspetti del desiderio. La giocata è sempre, in Dostoevskij, una miscelazione proto-esistenzialista (cioè assurda ma non inumana) di erotismo e autarchia.

Ma non c’è soltanto l’aspetto esistenziale, con i suoi risvolti cripto-religiosi (reperibili sottotraccia anche nel giocatore di oggi). Quanto Dostoevskij propone nel romanzo è, più sottilmente, una riflessione sul senso del denaro. La critica a Marx è latente: il denaro non è accumulabile. Esso va e viene, senza seguire particolari ragioni. Il caso e la chance dominano il suo flusso. In apparenza il denaro obbedisce a una legge frammentaria, di discontinuità e di grandi dismisure (nelle vincite o nelle perdite), ma, in realtà, il flusso finanziario è una corrente oceanica non interrompibile: dai centri di raccolta (i casinò), alle mani disperate di un amante ferito, ad altri soggetti che appartengono a tutte le classi sociali, ogni cosa vi è immersa e trasportata, persino i provvisori contro-movimenti, vortici retrogradi nella corrente di un fiume. Questa è la sostanza senza sostanza del denaro, confermata probabilmente anche dall’atteggiamento di Raskolnikov in Delitto e castigo, scritto negli stessi mesi: l’idea di impossessarsi del denaro della vecchia usuraia non è mossa dalla prospettiva dell’auto-arricchimento, ma, al contrario, da quella di una ridistribuzione della ricchezza. Da questo punto di vista, si comprende la coerenza interna del romanzo su alcuni punti nodali, ad esempio l’idea non necessariamente negativa, ma dal valore sospensivo, del denaro come merce: «e perché il gioco – si domanda il gambler – sarebbe peggiore di qualsiasi altro mezzo di far denaro, per esempio, magari del commercio?»26.

La domanda del giocatore centra perfettamente il punto: il fare denaro. Ovvero, il tratto della nostra epoca dove la prassi del fare subisce la torsione limite, forse conclusiva, ponendo come proprio oggetto il denaro (un elemento che, nelle coordinate del romanzo, deve invece restare senza sostanza). La domanda dostoevskiana è filosofica nella misura in cui essa mostra l’impossibilità di stabilire una ragione per discriminare fra due attività: quella riconducibile alla circolazione del capitale, tramite appunto lo strumento di mediazione rappresentato qui dallo scambio commerciale, e quella senza mediazioni del denaro per il denaro, dove nell’istante della giocata il soggetto si auto-esclude da ogni commercio col mondo. Dove far leva per screditare l’una o l’altra morfologia del denaro?

Dostoevskij non risponde in modo diretto, bensì secondo una strategia narrativa. Il senso diegetico restituisce pienamente il senso del denaro. In primo luogo perché si comprende la necessità esistenziale auto-contraddittoria della scommessa: occorre la sospensione dei nessi logici dell’esistenza, per poter in qualche modo entrare “in possesso” della vincita. Ma questo implica appunto che non si vince mai davvero, dal momento che il denaro scorre, fluendo da soggetto a soggetto e scrivendo traiettorie di cui non possiamo anticipare l’equazione. Questo chiarisce il livello a cui si attesta il discorso di Dostoevskij: il denaro si rivela fondamentale narrativamente, ma inessenziale nelle scelte individuali27. Ne Il giocatore il denaro è sempre, in fondo, la possibilità del suo sperpero: ente che contiene la forma della propria dissipatio, in quanto ente impossedibile: abitato, o “spettralizzato”, dal nulla. Che si tratti di vincita risolutiva (o del suo correlato negativo: la perdita definitiva), o che si tratti invece di situazioni finanziarie normali, per Dostoevskij nulla cambia realmente. È anzi il senso del reale a essere abitato, appunto “spettralizzato”, dalla scommessa. Tutto è passaggio: il denaro passa di mano in mano, così come le vicende umane narrate scorrono indifferenti a esso. Va colto in questo isomorfismo fra forma del denaro e struttura diegetica della vita il senso filosofico del romanzo di Dostoevskij.

 

Forma del tempo e volontà di scommessa in Bataille

La dimensione aperta da Dostoevskij è utile per addentrarsi nella questione dell’alienazione e del tempo, ma è ancora troppo lontana. Dostoevskij non la risolve e non ne elabora sufficientemente la forma, evitando consapevolmente di entrare nella questione che, come detto, aveva soltanto intravisto Marx. Georges Bataille, nel suo testo sulla chance Nietzsche. Il culmine e il possibile28 porta invece il discorso sull’alienazione a un maggior grado di approfondimento. Ma anche lui non prende di petto il problema, cioè non lo tratta nei termini dell’economia politica o del materialismo dialettico: il suo sforzo teorico è quello di inscrivere definitivamente il problema del tempo della scommessa entro una scrittura che riconvoca i segreti del corpo. Nella teoria della chance convergono la sua originale lettura di Nietzsche e la linea del Mallarmé di Un coup de dés jamais n’abolira le hazard, unitamente alle poetiche delle avanguardie storiche come surrealismo e dadaismo. In forte anticipo sulla Nietzsche Renaissance, Bataille ribalta l’immagine superomista legata al Wille zur Macht: in Nietzsche è l’aleatorio, ossia il caso posto come centro metodico della riflessione e della nostra condotta morale, e non la potenza, ciò che dev’essere voluto. Tramite l’equivalenza postulata tra volonté de chance e amor fati, Bataille non ci illumina, però, soltanto sul senso del paradossale razionalismo di Nietzsche. Egli intende mostrare come questa forma di razionalismo aperto sul caso si innervi nelle radici sia storico-materiali che esistenziali del capitalismo, come pure della sua instabile ratio: volere se stesso e nutrirsi delle proprie parti, come chronos.

Si comprende così la necessità del riferimento a Bataille in una riflessione intorno alle condizioni di possibilità di un sapere innervato dal caso. Bataille mostra due punti nodali. Il primo: la struttura della scommessa, in quanto essa ospita originariamente l’hazard, incrocia necessariamente la struttura del tempo. E, dietro a tale incrocio, si nasconde una terza struttura, che replica le prime due: scommessa e tempo sono, cioè, in diretta relazione con la struttura del capitalismo. Il secondo punto: per comprendere realmente questi annodamenti, conviene transitare da una prosa non asettica, ma tendenzialmente poetica e sconfinante nel milieu letterario-filosofico. Andrea Zanzotto si è soffermato sul significato del perno verbale dell’intera questione, cioè la parola chance. Il termine assume «i significati comuni di “fortuna”, “possibilità di riuscita”, “possibilità di vincita in un gioco”, “buona sorte”, ecc., ma anche quello del tutto particolare che esprime la situazione metafisico-esistenziale analizzata in quest’opera»29.

Il poeta (Zanzotto, come pure, in altro modo, Magrelli) rende ragione del problema filosofico della speculazione-scommessa. Ma lo fa transitando, evidentemente, dall’elaborazione linguistica stessa della contraddizione, ovvero dall’annodamento fra il livello esistenziale-epocale (non dimentichiamo le circostanze in cui fu composta l’opera, cioè i primi anni Quaranta) e il tema del rischio, cioè della possibilità di una perdita assoluta. Questo ibrido strutturale-esistenziale è quanto resta contenuto nella parola chance. Si comprende subito come, su un piano teorico, il problema della scommessa sia in Bataille il problema del rapporto corpo-tempo (e, più sotterraneamente, tempo-capitalismo): l’«incoerenza senza fine», cioè l’inazione, è l’«unica soluzione» per sfuggire al sistema che condiziona il soggetto, a partire dal linguaggio (che riflette le relazioni di dominio) sino a tutte le altre sovrastrutture passivamente subite. Solo attraverso questa «esperienza disarmante» io potrò entrare in relazione vitale alla «mia “chance”»30. Nella chance si cela il senso della temporalità. Ma, reversibilmente, per Bataille la chance è un modo di abitare il tempo sospendendolo: la scommessa è sempre-mia, benché essa non mi appartenga mai sino in fondo. La chance presuppone, mediante la mediazione di Nietzsche, una forma di attività (ma, potremmo aggiungere, mediante l’Heidegger di Essere e tempo, anche una passività di quell’essere sempre-mio che non mi appartiene). La scommessa è una forma strutturante poiché, precisamente, essa struttura la realtà del divenire, come passività che ci agisce. Da ciò deriva che il soggetto-corpo batalliano è anch’esso sospeso fra attività e passività, soggetto-corpo irrisolto fra necessità e possibilità, al pari del giocatore, che sa bene come il destino sia già scritto, ma che, ciò nonostante, tenta la sorte.

Il maggiore significato filosofico ricavabile da questa situazione paradossale, e che virtualmente può aiutare anche noi, oggi, consiste in una concezione della conoscenza di tipo misto, in cui si tratta di sviare il savoir mediante strategie “altre” rispetto al savoir e che, purtuttavia, lo presuppongano. Da questo punto di vista, il savoir non andrà espulso dal tempo della scommessa: l’alea deve rientrare nella costruzione concettuale, e viceversa, anche se ciò eleva di molto il livello di difficoltà del compito del filosofo. Durante una scommessa, cioè prima e anche un’istante dopo il lancio del dado, il savoir va confermato e riattraversato sino in fondo, ossia sino al momento del culmine, della decisione, dell’istante in cui si origina, forse, un nuovo pensiero (che, in effetti, prolunga e interrompe il savoir pregresso). Filosofare significa questo: una sproporzione e un azzardo. È una scommessa vitale: nel filosofare ci si consuma. L’elaborazione del già pensato, dei testi, dei concetti, è un’attività per lo più improduttiva, entro la quale, però, il filosofo scommette sempre, in fondo, sulla possibilità di produrre novità (clinamen). Ma la vincita è rara.

Una prima conseguenza di questa impostazione è la seguente: il valore universale del tempo non è più, come ancora in Dostoevskij, legato allo spazio dell’interiorità. Tale esperienza interiore è già esterna: il tempo della scommessa, proprio per come lo abbiamo delineato, è un’estroflessione strutturale del soggetto-corpo. Nello scommettere si rivela, cioè, il carattere rappresentazionale del tempo come messa in scena non-intimista, ma aperta a un sistema di coordinate totalmente nuovo, in cui i concetti di intimo e di estraneo perdono i loro riferimenti abituali.

La seconda conseguenza ci interessa più da vicino: lo sforzo teorico di Bataille è interpretabile come quello di un pensiero che cerca di incorporare l’aleatorio mediante un impianto speculativo differente dal canone occidentale dominante. Va notato come, in tale impianto, Bataille proceda a un attraversamento congiunto di Nietzsche e di Marx. Se il primo è esplicitamente sulla scena, il secondo, che una certa vulgata vuole superato dopo gli scritti degli anni Trenta, credo agisca ancora nel retroscena pre-indirizzando, anche mediante il ricorso congiunto a Hegel, ampie falde del discorso sulla struttura del tempo. È il ben noto problema, in Bataille, di pensare la rivoluzione nei termini della sua chance, dove un materialismo sui generis si combina con la prospettiva dell’alienazione e con quella della souveraineté. Proprio ne La souveraineté, di qualche anno posteriore al Nietzsche, Bataille affermerà infatti che «fuori del comunismo non esiste nulla»31. Ma, anche lasciando da parte le questioni filologiche, mi pare decisivo un fatto: l’adozione del combinato Marx-Nietzsche comporta il porre come problema centrale l’individuazione di un nuovo modo di agire, cioè la determinazione di un’azione capace di sospendere ogni legame con l’utile. Tale opzione non va letta come soltanto negativa, rinunciataria e tendenzialmente impolitica; l’idea della scommessa batailliana è profondamente politica nella misura in cui s’interroga sui rapporti di potere del corpo pensato nella sua appartenenza al tempo.

 

Prendere tempo, riscrivere Heidegger

Da tutto questo deriva una conseguenza decisiva, e non soltanto sul piano dell’esegesi del testo batailliano. Mi riferisco alla soluzione in qualche modo prospettabile a partire dall’argomento di Bataille, ossia alla strategia del prendere tempo. Il pensiero della chance procede nella direzione di un invito al déplacement: ogni se déplacer da parte del soggetto-corpo, rispetto agli assetti capitalisti, richiede sempre un prendere tempo (spazio e tempo si rapportano quindi fra loro). La cifra di tale presa di tempo, tuttavia, è che essa deve aver luogo “nel” tempo, cioè ancora nella struttura della speculazione (ovvero nel centro logico-operativo del capitalismo) come sua decostruzione dall’interno. In questa chiave va letto tutto il lavoro batailliano sul non-senso e sul non-savoir che la scommessa sarebbe in grado di dischiudere, e che può trasformarsi da nozione negativa in centro di una filosofia morale deprivata di ogni spiritualismo e laicamente orientata al politico. Quale forma potrà prendere questa filosofia morale e prepolitica della scommessa?

Osserviamo frattanto come, nella tensione dell’hazard, erotismo e autarchia della scelta si trovino premiscelate, proprio come in Dostoevskij. Scrive Bataille: «l’unione tra un amore eccedente e un desiderio di perdere – di fatto, la durata della perdita – CIOE’ IL TEMPO, CIOE’ LA CHANCE – rappresenta evidentemente la possibilità più rara. L’individuo è la maniera di eventuarsi del tempo»32. L’aspetto erotico della chance sta nel desiderio di proseguire all’infinito, rinviando la vincita, cioè la morte. Così come l’equivalenza fra chance e tempo, va cercata nell’idea che il senso della scommessa stia appunto nell’espressione corsivata: scommessa come durée della perdita, e non della vita, dunque come procrastinare l’auto-esaurimento depauperando l’élan bergsoniano. Bataille suggerisce l’idea che il tempo, facendosi evento, lasci affiorare dal brusio della storia la fragile sagoma dell’individuo, provvisoriamente liberato dalle catene dell’essere. Si noti, en passant, l’inversione dello schema heideggeriano, dove a “eventuarsi” non era il tempo, ma l’essere, mediante la figura dell’Ereignis33.

Il riferimento al pensiero di Heidegger, relativamente al tema della scommessa, meriterebbe un approfondimento, al quale in questa sede non posso che accennare, in tre mosse. Primo: bisognerebbe forse riscrivere, oggi, Essere e tempo. Un libro che, nel bene o nel male, ha profondamente sconvolto e indirizzato il pensiero del Novecento, compresa la riflessione di Bataille sulla chance. La struttura della temporalità come speculazione o il carattere anticipante del nostro essere-nel-tempo, è già totalmente inscritto nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, e ciò indica come, in fondo, il giocatore e il Dasein condividano molti tratti comuni. Secondo: proprio per questo isomorfismo fra temporalità (del gambler e del Dasein) si dovrebbe provare a prolungare Essere e tempo e a trasformarlo in un altro libro, che potrebbe chiamarsi Tempo e tecnica, oppure Essere e tecnica, magari transitando da lavori come Essere e schermo34 e altri che interpretino ad ampio spettro i rapporti fra tecnologia e corpo, fra internet e corporeità. La riflessione heideggeriana sul Gestell andrebbe, cioè, ristrutturata recuperandovi l’aspetto esistenziale legato allo spazio per il caso, la temporalità e il segreto del corpo. Ma questa sarebbe anche un’operazione grazie a cui, retroattivamente, ritornare al problema filosofico della speculazione per come lo pone Bataille, sulla scia anche degli altri riferimenti sinora toccati. Tempo, essere, tecnica, corpo: sull’asse indicato da questi indici, si dovrebbe infine giungere al tema cardine, di cui ci stiamo occupando, ossia lo spettrale isomorfismo fra struttura del tempo e struttura del capitalismo. Il dispositivo di riflessione-scrittura di Bataille (che si nutre di Nietzsche facendo sponda su Marx e, più sullo sfondo, restando in sintonia con la temporalità del primo Heidegger) si rivela così di estremo interesse. Detto altrimenti, Heidegger non ha saputo, o voluto, vedere il nesso tempo-capitale-speculazione. Prima di lui Marx, pur pensando il tempo come esteriorità materiale, non ha voluto, o saputo, approfondire il problema della temporalità della speculazione (come bicefalìa originaria, tanto della soggettività contemporanea quanto del capitalismo finanziario). Mediante Nietzsche invece, proprio in questo varco teoretico fra Sein und Zeit e Das Kapital s’inseriscono Bataille e tutti coloro che si sono mossi sulla strada da questi aperta35.

 

In tempo reale

Torniamo alle analisi di Bataille. Queste ci dicono molto sulla struttura materiale ed esistenziale del web-gambler, in particolare sul senso da assegnare al suo rapporto paradossale ma necessario col tempo. La cosa ci introduce nell’ultima parte di questo saggio. Prima, però, bisogna dire che Bataille non risolve questo rapporto: la relazione col tempo resta una relazione indeterminata, la forma di un nuovo apeiron esistenziale. L’individuo trova nel tempo non soltanto uno scivolamento, ma anche un attrito, una forma di resistenza che ingenera la Stimmung dominante del gioco d’azzardo: l’angoscia. Se l’individuo «non ha chance (se si eventua male) è soltanto una barriera opposta al tempo»36. Ma, dall’altro lato, se l’individuo «annulla l’angoscia, per lui è finita: perché si sottrae ad ogni destino, si apparta in prospettive che sono fuori dal tempo. Se invece l’angoscia dura, deve in un certo senso ritrovare il tempo. Il tempo, l’accordo col tempo. […] Riuscirò infine a trovare il tono gaio, un po’ folle – e la sottigliezza dell’analisi – per raccontare la danza attorno al tempo (Zaratustra, la Recherche proustiana)?»37. Evidentemente, ciascuna delle figure rapprese in questo passo meriterebbe un’analisi dettagliata: la dinamica fra sottrazione e porsi-fuori dal tempo e quella del ritrovamento di una ritmica esistenziale, di un “accordo” col tempo. Come pure l’idea, di evidente ascendenza nietzschiana (un Nietzsche accostato a Proust, nell’idea improduttiva dell’azione) di una danza attorno al tempo, che tuttavia può essere solo raccontata, ossia recuperata nel mithos di questo circolo, di questa circolazione del soggetto dentro-fuori dal tempo (dunque attorno a esso).

Ora, il punto è la necessità di un completamento della temporalità del web-gambler ottenibile aggiungendovi la specifica qualità della componente tele-tecnologica. Tale qualità è rappresentata dall’altissima accelerazione nel processo triadico basale dello scommettere: puntata-attesa-esito. L’accelerazione della scommessa produce l’effetto di riduzione dell’intervallo della giocata, sino al punto da poter farci obliare il lato materiale e vitale dell’azione. Da quest’ultimo punto di vista, restano preziose le intuizioni di Paul Virilio, concepite sin da L’orizzonte negativo. Saggio di dromoscopia38, intorno al valore centrale dell’accelerazione. Le sue tesi, utilmente sviluppate poi negli anni Novanta e oltre, almeno sino al provocatorio L’incidente del futuro39, e concresciute coi fenomeni tipici dell’ingresso delle società (cosiddette) avanzate nell’era digitale, circoscrivono anche i rischi dell’inarrestabile sinergia fra flessibilità, internet, globalizzazione e propensione al gioco come segno epocale. Anche per Virilio la questione, dietro la critica all’ingenuità con cui accogliamo il progresso, è ancora quella del tempo e delle sue scansioni, cioè della strutturazione dinamica nella storia nel bìos, nelle nostre esistenze singolari e collettive. Ma, nel nostro caso, l’oblio consiste non nel pensare al nulla dell’interludio temporale, ma a uno stadio più sottile, già oltre la semplicità (soltanto ideale) del dimenticare, e ciò per la ragione che, per quanto piccolo, esisterà sempre un tempo della scommessa, ossia un orizzonte non del tutto negativo, per dirla sia con che contro Virilio. Qui sta il punto su cui fa ancora leva l’auto-alimentazione del capitalismo finanziario-informazionale. I processi on-line agiscono, infatti, in parte al di sotto della soglia dell’attenzione, tele-orientando sottilmente la mano del giocatore, spingendola passivamente alla soglia del prossimo istante, cioè della prossima puntata. Quello che il fenomeno della scommessa on-line lascia presagire, è forse un’alterazione generale della sfera percettiva del giocante, esposta a un meta-dispositivo che sembra voler anticipare la percezione soggettiva, toccando l’impossibile stesso della percezione (l’avvenire prima del tempo), per esempio superando il limite dei 60 frames al secondo dell’occhio medio. Di convesso, nei corpi opera una temporalità ridotta, cioè sempre meno fruibile e più penetrante nella sua tendenza all’anticipazione dei nostri schemi motori.

Sul piano teorico, va messo in luce che la temporalità ridotta è già nei corpi-giocanti. Ma questi corpi sono anche corpi-giocati, e, nel senso specificato in precedenza, corpi offerti all’auto-consumo. In quanto corpi consumati dal tempo, essi sono enti prestati alla loro dissipazione, alla loro dépense auto-etero-diretta: corpi usurati, che sono, cioè, la concausa della loro usura. Il capitalismo informazionale finanziario si manifesta qui definitivamente come capitalismo della scommessa, perché trova nella scommessa on-line il proprio culmine: entro quell’accelerazione finale (oltre non è dato spingersi: è l’orizzonte negativo) che quasi-supera la soglia della risoluzione percettiva dei sensi, teoricamente possono confondersi la causa e l’effetto (l’azione di chi scommette con l’esito dell’azione). Quest’ultima è un’illusione: è l’immaginario estremo dell’ideologia. La contrazione ultima del tempo della scelta, in altri termini, è portata sino alla sua quasi-sparizione. Naturalmente, si sta descrivendo uno scenario paradossale. Ma non sta forse nel paradosso il valore attuale del capitalismo?

Questa volta è il rapporto col tempo del dispositivo ciò che morfologicamente muta, quasi a voler anticipare il tempo. In altri termini, il capitalismo si sta costruendo un nuovo scenario, quello di un giocatore che opera transazioni/speculazioni in tempo reale. L’espressione, anch’essa facente parte della grammatica viriliana40, va intesa alla lettera: l’individuo interconnesso gioca, perde, vince. Ma cosa cambia realmente? Non si tratta di derealizzazione del soggetto, ma di una sua sospensione fra reale e irreale, cioè di uno spazio di gioco che separa e unisce il reale all’irreale: parimenti, l’azione e l’inazione tendono a confondersi, e il corpo si neutralizza. Il non-sapere, in questo senso, replica le antiche forme dell’indistinto, come l’apeiron di Anassimandro: «… da dove infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo»41. In altri termini: che valore assume il concetto di alienazione in rapporto a questo nuovo ordine del tempo già incontrato dalla filosofia occidentale, precisamente nel suo primo frammento scritto? C’è qualcosa di inspiegato, di sinistro e di oscuro nel come questa forma primordiale di pensiero (il mito di chronos; l’indeterminato di Anassimandro) ritorni oggi, come revenant. Ma si tratta anche di un orizzonte aperto: una chance per la filosofia, chiamata, come sempre, a pensare l’ignoto.

 

Corpo, bíos, automatismo

Le analisi di Bataille sulla chance non risolvono il problema del nesso magico tempo-speculazione-capitale, benché chiariscano a quale livello di profondità il giocatore sia inscritto nel sistema capitalistico. La questione diventa allora quella del corpo, che, in relazione alle fibrillazioni fra interattività e interpassività odierne, si sviluppa lungo due linee. La prima (quella del prendere tempo, ossia del giocare col tempo, corteggiarlo, danzarvi attorno) richiede una trasformazione della logica stessa del discorso che lo pensa: come può un soggetto che è nel tempo girarvi attorno, circuirlo? La seconda è una forma di non-savoir che, tuttavia, non è cieco, ma configura un sapere senza fondamenti che non è insensato, né privo di direzione. Occorre allora percorrere sino in fondo la strada del corpo, pensato nel suo automatismo connesso al bìos. Questo per la ragione che, innanzitutto, il corpo scommette, anche su se stesso.

La vita stessa ha a che vedere con una struttura di ripetizione eterna per la procrastinazione della specie (il DNA aspira a diventare il medesimo, e già è, ripetendo se stesso, senza fini). Ma il bíos ha anche a che vedere con una cecità corporea che spinge i corpi all’azione, che dinamizza in vista di un fine (che sappiamo sarà poi sempre superato e rilevato, in senso hegeliano).

Nonostante tutto il savoir che possediamo, noi crediamo al prossimo istante. Vi è, difatti, qualche cosa di imprecisabile (irrisolto e non-saputo) nell’automatismo del corpo che spinge il corpo stesso alla scommessa, a credere nella vincita, a costruire sagome di futuro e, persino, edifici concettuali. La scommessa, ad esempio per il filosofo, è quella del senso da assegnare all’istante successivo in generale, ma anche della solidità della propria teoria. Ma si può andare ancora più a fondo: la vita stessa contiene in sé una forma di speculazione. La dynamis che chiamiamo vita è un “in vista di”, spesso irriflesso, ma che rilancia, su basi totalmente diverse da quelle marxiane, il problema della produzione. Non si tratta, infatti, di produrre qualcosa di esterno in cui alienarsi, come nella fabbrica. Si tratta di fare ciò, ma, al contempo, di produrre se stessi: il vivente è, infatti, quell’ente che può auto-riprodursi. La vita è auto-riproduzione. Una pietra può essere riprodotta; ma non si riproduce da sé. Il vivente, al contrario, condensa il soggetto e l’oggetto del processo produttivo nell’automatismo primordiale, ossia nel “ri” e nel “si” che articolano il concetto di produzione nel nuovo concetto di del riprodur-si. Dove il “si” indica l’autos (dunque il rischio del tautologico, di cui si già detto in rapporto alla logica del Capitale, e che dunque assimila la vita all’indifferenza); mentre il “ri” indica la ripetizione, e dunque il circolo del tempo. Proprio nel riprodursi, il vivente accetta e rilancia ogni volta la scommessa inconsapevole su se stesso. Ma, se così è, ciò implica una tragica riproposizione della medesima struttura del tempo e del capitalismo, persino nel bíos. E ogni volta che qualcuno specula sul futuro, anche nelle costruzioni intellettuali più elevate come l’arte o la scienza, non sta in fondo già reduplicando all’infinito tale struttura? Sino a che punto, in altri termini, il filtro della mediazione concettuale è efficace nell’interporre delle differenze entro la struttura speculativa irriflessa del nostro agire?

Questo interrogativo tende a ri-significare il problema della libertà: si è liberi quando si scommette? Non sappiamo se nella scommessa si sia totalmente riassorbiti dal bíos, compresi i suoi auto-inganni necessari alla sopravvivenza (dunque al riprodursi del vivente), oppure se si sia consapevolmente dentro la chance. Non so se posso liberarmi dall’assoggettamento della struttura del tempo, così come non so se posso liberarmi dall’assoggettamento della struttura del capitalismo: le due sono isomorfe. Ma anche la filosofia è una forma di speculazione. Di nuovo: c’è nella filosofia uno spazio di libertà? Sia pure per via negativa, forse questa domanda conduce a un’altra domanda inerente la struttura della libertà: che cos’è la libertà, allora, se non un altro nome dell’alienazione dal tempo?

 

Qualche conclusione: incorporazione del caso nel pensiero

Viviamo oggi nel (e il) tempo della scommessa, ma lo scarto epocale non è ancora tale da consentire una visione rischiarata di questi fenomeni: troppo prossimi. Le domande che ho cercato di enucleare via Bataille (la questione del corpo, dell’interattività/ interpassività, del non-sapere) resteranno inevase. Per concludere, vorrei tuttavia riprendere un testo scritto in anni abbastanza lontani da noi, ma nei quali l’idea di pensare assieme Marx e Nietzsche, opportunamente ritradotti in protocolli teorici adeguati all’epoca, come utensili per una critica al sistema capitalistico, era una tecnica filosofica praticata da molti. L’idea centrale del libro di Aldo Gargani del 1975, Il sapere senza fondamenti, può essere considerata quella di un sapere ibrido, capace di integrare il caso e la chance al proprio interno, e in questo modo proporsi come forma estroflessa verso il reale e costitutivamente operativa nel tempo. Un sapere che sappia anche esitare e mostrare la faccia più ambiguamente legata al corpo-che-pensa: una forma di razionalità empiricamente orientata.

Uno dei punti da sottolineare di questo libro, oggi un po’ dimenticato, è l’idea di una sintesi fra il principio di non contraddizione e l’aleatorietà dell’empirico, espressa esemplarmente da formule come la seguente: «non v’è più razionalità nello schema logico del principio del terzo escluso di quanta ve ne sia nella situazione pratica della scommessa»42. Se si vuole comprendere il senso della scommessa come situazione teorico-concreta, serve, ieri come oggi, una profonda rivisitazione dell’atteggiamento epistemologico. La chance è, infatti, innervata alla struttura del tempo delle forme di vita (a cui Gargani fa spesso riferimento) le quali saranno il centro logico-operativo di un’eventuale trasformazione dello stato di cose storicamente determinato – cioè di una trasformazione del tempo.

Ma per ottenere questo, si dovrà intraprendere a ritroso un certo cammino dell’uomo occidentale: per esempio occorrerà «riandare dietro il principio del terzo escluso alla situazione della scommessa» 43, ossia alla logica binaria che regola anche la sequenza causa-effetto come storicità sequenziale dell’evento. Ovvero: la base di tutto il nostro modo di pensare. Di qui, si dovrà retrocedere sin «dietro l’argomento della scommessa di Pascal, alle presunzioni di probabilità cui si affidavano i mercanti nelle loro imprese commerciali esposte ai rischi degli Oceani, o, ancora, dietro la legislazione morale kantiana allo scambio degli equivalenti»44. L’elenco è incompleto ma significativo nella misura in cui ci permette di estrapolare la portata universale della coppia scommessa/speculazione.

La speculazione, infatti, ci appare come il vero centro non solo logico, ma anche logico-empirico, di molti aspetti della vita umana. Questi aspetti coprono il ragionamento, la speculazione commerciale (il far denaro con la scommessa: Dostoevskij), la speculazione del far teoria, il pari metafisico-morale di Pascal, la morale (ragion pratica kantiana) e altre pratiche leggibili nella filigrana di un inedito savoir, la cui morfologia sappia incorporare il caso e la chance. E dove la parola letteraria, cioè non soltanto teorica, può forse riguadagnare qualche spazio, qualche esitazione produttiva nel prendere (il) tempo.

Le parole di Gargani, riattualizzate oggi, ci suggeriscono come forse anche la filosofia dovrebbe predisporsi a un nuovo protocollo di lettura, in cui il valore della speculazione non venga ridotto, bensì reso manifesto in tutta la sua portata epocale. La pervasività della scommessa, ossia il suo essere innervata nei mille piani dell’esperienza, rappresenta l’essere-alla-mano della struttura di anticipazione (Vorlaufen) come occasione per la filosofia di una presa di coscienza, che tuttavia non deve neutralizzare l’hazard, l’alea, il caso. Abbracciamo in un unico sguardo questa molteplicità di pratiche: vi ritroveremo, con un colpo d’occhio direttivo, «l’informazione genetica che il codice delle forme di vita umana ha depositato nella formazione degli abiti intellettuali degli uomini»45. Coerentemente con quanto anticipato sull’automatismo del corpo che specula e quindi anche sulla vita come speculazione in vista di se stessa, il riferimento al bíos non è soltanto una metafora. Qualcosa di imprecisato, e per questo altamente efficace, si esprime nella prosa di Gargani. La pervasività della struttura anticipante della speculazione, in vista di una possibilità di costruire una nuova forma di filosofia, è come un nuovo Umwelt in cui concrescono le azioni e le riflessioni umane: «la filosofia è in tal modo il ritrovamento dell’origine “dal basso” di quelli che si riflettono feticisticamente come gli edifici formali più elevati»46. Questo modello di sapere teorico-empirico sarà quindi un «operare infondato»47 e al contempo un «pensiero fattuale»48.

 

Sorprendere il tempo?

Questo razionalismo aperto, questa macchina speculativa capace di elaborare le proprie contraddizioni (senza ridurle a polvere) diviene un auspicio necessario in questo nostro tempo della scommessa. L’operare infondato di un pensiero fattuale è già il prototipo di una filosofia capace di rendere conto delle inerzie e delle esitazioni che il modello scommessa-tempo-capitale sembra invece proporre come formula indiscutibile del dominio, anche per chi tenta di articolare una filosofia. Detto altrimenti: la scommessa, ossia l’alea, va reincorporata nel pensiero, così come la soglia fra interattività e interpassività del gambler deve necessariamente passare dal corpo, perché è il corpo che trasporta il non-sapere. Questi due movimenti sono, in fondo, lo stesso movimento, e il non-sapere si prefigura quale risorsa teorico-pratica necessaria per poter, eventualmente, scardinare l’omomorfismo fra struttura del tempo e struttura del capitalismo. In quest’area grigia della teoria sta la “sede operativa” della scommessa, dello scommettere e del suo legame col tempo. Proprio in quanto veicolo del non-sapere il corpo non si esaurisce al ruolo teatrale di centro di convergenza del discorso biopolitico o del biocapitalismo, giacché permane organico al proprio corredo di stimoli, sintomi, illusioni, di cui la soglia fra veglia e sonno, cantata da Magrelli, come pure quella epocale dell’incubo della borsa planetaria, sono elementi necessari. Qui il corpo conserva, suo malgrado, i suoi tempi-spazi: una propria autonomia, una sua capacità di sorprendere. Ma se il corpo possa sorprendere il tempo, o resistere al tempo, questo non lo sappiamo. Il che implica la riproposizione della domanda se nella capitalizzazione anticipante del tempo, che ha luogo nella scommessa/speculazione, si possa essere liberi.

È forse il concetto stesso di libertà che deve essere messo in questione totalmente, se la libertà del soggetto-corpo non è né un atto prometeico di sfida al caso, né un abbandono alla passività, dal vago sapore orientale – sapore che oggi torna di moda come bene rifugio in tempo di crisi. È una libertà limitata, condizionata, in quanto essa è pre-strutturata. In questo senso l’intera questione dell’interattività e dell’interpassività trova nel problema della libertà il suo valore inaggirabile, forse preliminare a ogni altra questione. Io stesso ora, mentre scrivo, sto scommettendo sull’attimo seguente, sul passare, sul sopravviversi di un tratto o di una scia di elettroni che satureranno forse un circuito elettrico, dietro allo schermo-display. E, per quanto sappia tutto ciò, arriva sempre il momento in cui devo superare questo sapere accumulato (capitalizzato?), al fine di debordarne la forma logica introducendo uno spazio di speculatività e di pre-figurazione (senza fondamento ma, a sua volta, radicata in un fondo empirico e vitale). Si dirà forse che io scommetto, innanzitutto, sulla storia? Ossia, sul passato stesso dei miei gesti, pre-vedendoli come inconsciamente e oscenamente radicati nel futuro? Se nego ciò, in base a quale principio lo faccio? Evidentemente, in base a un’altra ipotesi, cioè un’altra contro-speculazione. E tutto ciò accade e passa nel tempo. La strutturazione del tempo scandisce persino i punti di questa mia ultima (e primitiva) meditazione improduttiva, come investimenti in vista dell’istante successivo.

L’ultima domanda, è anche quella che nasce quando tutte le altre domande sul tempo sono state fatte. È la domanda che resta: ci si può alienare dal tempo? Forse occorre un recupero dell’estensione e degli spazi, per ripensare la forma della temporalità. Ma non sarebbe anche in questa, in fondo, una falsa soluzione, ancora spettralmente comandata dall’astuzia della struttura del tempo? Non sarebbe, cioè, un’altra scommessa? Non sappiamo ancora, in fondo, se ci si può alienare dal tempo. Questa potrebbe essere la sfida per la filosofia di domani, intesa, però, come fusione di un orizzonte speculativo e di un orizzonte pratico, vitalmente innervato nella storia.

Così Gargani, prendendo tempo: «scoprire come un atteggiamento della condotta, un modo di vivere, una modalità d’uso di oggetti e strumenti elaborati per via di tentativi oppure combinati per puro caso, sono assurti alla forma e allo statuto di una tecnica procedurale metodica e ordinata per raggiungere degli scopi; scoprire, per esempio, nella trasformazione della casualità in una tecnica metodica la matrice di quello che chiamiamo “pensiero”, – un’inchiesta teorica di questo genere costituisce il lavoro filosofico genuino»49.




Note al testo

1Derive del lavoro ovvero il capitalismo della scommessa è il titolo dell’editoriale del numero monografico della rivista Kainós 13, 2014.

2 M. Dotti, Slot city. Brianza-Milano e ritorno, Round Robin, Roma 2013, pp. 55 e ss.

3 Termine che indica, in origine, la tendenza all’utilizzo di elementi dei game studies in campi non ludici (come il lavoro, il commercio, la comunicazione, la politica, etc.).

4 M. Dotti, Slot city, cit.,pp. 31-32.

5 Userò il termine interpassivo, come correlato di interattivo, facendo riferimento implicito alle tesi contenute nel saggio di Slavoj Žižek, The Interpassive Subject, in Traverses, 3, 1998, cfr. <http://www.egs.edu/faculty /slavoj-zizek /articles /the- interpassive-subject>.

6 Non va tuttavia dimenticato come anche questi processi non siano totalmente immateriali. Questa appare anzi una tesi che l’ideologia consumistico-capitalistica ha interesse a veicolare nelle coscienze dei cybernauti, conformandole mediante assuefazione ai dispositivi globalizzanti. In realtà, tutti sappiamo che persiste uno “zoccolo duro”, cioè un hard-ware che ovviamente intrattiene una relazione con l’informazione software ma che è, ancora, in parte indipendente. Come ricorda, fra molti altri, Ugo Mattei, «nel territorio degli Stati Uniti si trovano infatti praticamente tutti i c.d. root servers, cioè la quindicina di computer su cui fisicamente si fonda il Domain Name System, il sistema di assegnazione degli indirizzi Internet senza il cui continuo mantenimento la Rete sarebbe inservibile». La deterritorializzazione che spesso viene aasociata alle dinamiche della rete, non può riguardare il potere di assegnazione degli indirizzi che dirigono il traffico web. Il traffico, anzi, resta molto gerarchico e piramidale, se è vero che il server a cui tutti gli altri root servers si reindirizzano è il cosiddetto Root Server A, che si trova, nota ancora Mattei «in territorio statunitense (ed è quindi controllato dal suo governo)» (Cfr. U. Mattei, Il comune e l’immateriale: i tonni e la rete, in Id., Beni comuni. Un manifesto, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 89-99, p. 98).

7 M. Dotti, Slot city, cit., p. 20.

8 Cfr. S. Vial, L’être et l’écran. Comment le numérique change la perception, PUF, Paris 2013. La pervasività degli schermi ci mostra come «la questione dell’essere e quella della tecnica sono una sola e medesima questione» (ivi, p. 1). Ma per capire il senso della relazione fra essere e tecnica (di chiara impronta heideggeriana), occorre una ripensare in modo organico e, per così dire, merleau-pontiano la relazione fra corpo e schermo. Questo, sul piano teorico, indica uno scarto che consiste nell’anteporre alla relazione fra essere e tecnica, quella fra percezione e tecnica (ivi, p. 3), ad esempio postulando che la tecnica sia una struttura della percezione (cfr. il “cuore” teorico del libro, ovvero il capitolo 3, Les structures techniques de la perception).

9 Cfr. B. Stiegler, Il chiaroscuro della rete (a cura di P. Vignola), (KainosEdizioni) Youcanprint, Tricase 2014. Una sintesi efficace delle posizioni stiegleriane su questi temi, utilmente messe in relazione sia alla prospettiva farmacologica di derivazione derridiana che, soprattutto, alla critica filosofica di Deleuze al capitalismo, si può trovare in P. Vignola, “Il cervello è lo schermo-touch”. Trasformazioni tecno-logiche da Deleuze a Stiegler, in Il pensiero e il suo schermo. Morfologie filosofiche fra cinema e nuovi media (a cura di I. Pelgreffi), (KainosEdizioni) Youcanprint, Tricase 2014, pp. 93-109.

10 Per un’introduzione alle questioni teorico-politiche implicate nell’algoritmo automatizzante del PageRank, inteso come struttura di controllo cripto-panottica, utile il saggio M. Pasquinelli, L’algoritmo PageRank di Google: diagramma del ca­pitalismo cognitivo e rentier dell’intelletto comune, inSociologia del lavoro (a cura di F. Chicchi e G. Roggero), Milano, Franco Angeli 2009, pp. 152-166.

11 Per una descrizione di carattere preliminare, utile V. Codeluppi, Il biocapitalismo. Verso lo sfruttamento integrale di corpi, cervelli ed emozioni, Bollati Boringhieri, Torino 2008.

12 J. Derrida, in D’Ailleurs, Derrida, film di Safaa Fathy, Gloria Film Production/La Sept Arte, France 2000, trascrizione dal sonoro del film.

13 Per una prima ricognizione da un punto di vista filosofico del rapporto fra predizione epistemologica, caso e causalità si può trovare nel recente R. Campaner, La causalità tra filosofia e scienza, ArchetipoLibri, Bologna 2012.

14 Il tema dell’esitare e del prendere tempo (quale istanza sempre propedeutica e virtualmente stimolante l’azione morale o anche politica) inizia a coinvolgere in modo crescente orizzonti di ricerca originali e spesso molto diversi fra loro. Solo per stare in Italia, si prendano le linee tracciate da Pier Aldo Rovatti (cfr. P.A. Rovatti, Esitare su Facebook, in aut aut, 347, 2010, pp. 154-161) dove entro un impianto foucaultiano e postdecostruttivista l’esitazione indica la base dell’atteggiamento critico di cautela di fronte alle insidie e alle doppiezze del web 2.0 (liberante/assoggettante). Oppure si prenda la ricerca, di respiro più filosofico-morale, condotta in anni recenti da Riccardo Panattoni: partendo specificamente dal tema del corpo, dai suoi silenzi e dallo sguardo, si precisano le domande nodali intorno alla nostra nuova condition esistenziale di fronte alle immagini, e indirettamente (mediante il filtro della psicoanalisi) anche all’immaginario e ai suoi nessi con il mondo sia simbolico che pulsional-materiale. Il motivo della sospensione e dell’esitazione attraversa il libro Black out dell’immagine (cfr. R. Panattoni, Black out dell’immagine. Saggio sulla fotografia e gli anacronismi dello sguardo, Bruno Mondadori, Milano 2013, in particolare pp. 67-76), così come altri suoi lavori, fra cui Una stanchezza che cura, ossia una riflessione sul testo di Yung-Chul Han, La società della stanchezza, trad. it. di F. Bongiorno, Nottetempo, Roma 2012, in <http://www.doppiozero.com/materiali/contemporanea/una-stanchezza-che-cura>.

15 Cfr. K. Marx, Il capitale, Libro III (Sezione V. Suddivisione del profitto di interesse e guadagno di imprenditore. Il capitale produttivo di interesse; Capitolo 25. Credito e capitale fittizio), Editori Riuniti, Roma 1994.

16 Cfr. K. Marx, Il capitale, Libro III (Sezione VII. I redditi e le loro fonti, Capitolo 48. La formula trinitaria), Editori Riuniti, Roma 1994.

17S. Žižek, Il soggetto scabroso. Trattato di ontologia politica, trad. It. di D. Cantone e L. Chiesa, Raffaello Cortina, Milano 2003, p. 346.

18Ibid.

19Ibid.

20Ibid.

21 V. Magrelli, Incubo della borsa planetaria, da Timore e tremore, in Id., Il sangue amaro, Einaudi, Torino 2014, p. 28.

22 Certamente esistono altre attività compulsive, nelle quali il soggetto rapito dall’automatismo mostra il lato disumano dell’umano della ripetizione indifferente di un gesto. In primis, la compulsività sessuale. La cifra unificante che tutti questi atteggiamenti hanno con quello dello scommettere, è principalmente una: sono attività che devono essere senza senso. Sono pure figure dell’insoddisfazione, prefigurazioni del fallimento del proprio obiettivo. Se prendiamo il cinema di Lars von Tier, in particolare Nymphomaniac (2013), sarebbe possibile interpretare le vicende narrate come scommesse sul tempo vitale, catene di gesti che non portano mai a nulla ma non insignificanti: nel momento in cui sembrano non significare più niente, esse lasciano intravedere qualcosa sulla nostra propria natura, ma nel paradosso di una progressiva alienazione.

23 Cfr. M. Lazzarato, La fabbrica dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista, Derive Approdi, Roma 2012.

24 F. Dostoevskij, Il giocatore, trad. it. di A. Polledro, Mondadori, Milano 1960, p. 29.

25 P. Ortoleva, Dal sesso al gioco. Un’ossessione per il XXI secolo?, Espress Edizioni, Torino 2012. Il lavoro di Ortoleva in questo testo si contraddistingue per un gioco fra figure: dall’homo ludens, secondo il modello ancora di Huizinga, all’homo ludicus, a cui si giustappongono quelle dell’homo oeconomicus a sua volta storicamente rilevata da quella, secondo Ortoleva tipica di tutto il XX secolo, dell’homo eroticus. L’analisi dei media evidenzia un passaggio epocale fra tipi umani, in particolare fra l’eroticus (di cui aveva trattato nel precedente saggio, cfr. Id., Il secolo dei media, il Saggiatore, Milano 2008) e il ludicus. L’homo ludicus è l’abitante del nuovo millennio, quello in cui si annuncia una vasta sovrapposizione fra realtà e finzione ludica, fra lavoro e inutilità improduttiva, dove fenomeni quali la gamification assumono un ruolo decisivo nel riorientare lo spazio antropologico. Il valore ascritto da Ortolova alla ludicità, all’interno dei protocolli dominanti capitalistici, è ambiguo: da una parte è un valore di assoggettamento inconsapevole, dall’altra un valore anarchico, non assoggettabile: virtualmente antagonista.

26 F. Dostoevskij, Il giocatore, cit., p. 29, corsivo mio.

27 L’aspetto narrativo non è, beninteso, da derubricare come soltanto letterario. La sua pregnanza sul piano filosofico è molto evidente. Oltre all’intuizione della qualità profondamente liquida del denaro, una qualità che a tratti pare condizionare in modo storicamente determinato (pur soltanto nel racconto!) gli individui biologici che ne vengono “in possesso” provvisoriamente, basterebbe chiedersi, su un piano più generale, quanta parte nella personalità del giocatore ha l’aspetto diegetico in quanto tale, ossia il racconto a se stessi della realtà, il “raccontarsela”. Ma, di qui, ci si dovrebbe domandare quanta parte di questo valore auto-finzionale e tuttavia necessario sopravviva, in fondo, nel lavoro di ogni filosofo, nella sua tautologia che è sempre, in qualche modo, l’auto-costruzione di un pensiero, di un’idea, di una forma teorica. Anche la filosofia è una forma di speculazione, di conoscenza anticipata del reale, un investimento mosso da un interesse: e questo perché essa è storica, nel senso che è abitata dalla struttura del tempo.

28 G. Bataille, Nietzsche. Il culmine e il possibile, trad. it. di A. Zanzotto, Rizzoli, Milano 1970.

29 Cfr. A. Zanzotto, [N.d.T.], in G. Bataille, Nietzsche. Il culmine e il possibile, cit., p. 27, nota 3.

30 G. Bataille, Nietzsche. Il culmine e il possibile, cit., p. 31.

31G. Bataille, La souveraineté, in Id., Oeuvres complètes, Vol. VIII, Gallimard, Paris 1976, p. 402.

32 G. Bataille, Nietzsche. Il culmine e il possibile, cit., p. 142.

33 Il riferimento a Heidegger (e al carattere eventuale dell’essere implicato nella nozione di Ereignis) ci ricorda come, più in generale, sul livello formale l’intera questione della scommessa sia precontenuta nella grammatica heideggeriana dell’analitica esistenziale in Essere e tempo, segnatamente nel problema del tempo nel Dasein e nella figura dell’anticipazione. Il Dasein sarebbe «quell’ente il cui modo di essere è l’anticiparsi stesso […]. L’anticiparsi si rivela come la possibilità della comprensione del poter-essere più proprio ed estremo» (M. Heidegger, Essere e tempo, trad. it. di S. Chiodi, a cura di F. Volpi, Longanesi, Milano 2005, p. 314). Parimenti, la struttura dell’esperienza del tempo è marcata dalle tre estasi della temporalità (avvenire, esser-stato e presente), dove ciascuna si manifesta in relazione a un’evasione da sé (dunque una sorta di alienazione dalla temporalità parziale) in vista di comunicare con le altre (cfr. ivi, p. 329 e ss.). Tutto questo ricalca ampie zone della teoresi batailliana sul tempo come occasione, come escursione intra-temporale nel tempo, e dunque, per i nostri scopi, sulla struttura temporale della speculazione. Tuttavia, la differenza è rimarchevole: Bataille resta, per così dire, ostinatamente ancorato alla temporalità di Essere e tempo più dello stesso Heidegger, portando sino alle estreme conseguenze la struttura della temporalità, condensandola e ponendola in cortocircuito sia col tema del corpo che con quello del capitalismo. Al contrario, l’evoluzione del pensiero di Heidegger porterà il baricentro della questione della temporalità più verso il piano ontologico della storia dell’essere che verso il livello della chance soggettiva.

34 Cfr. S. Vial, L’être et l’écran, cit.

35 Oltre alla considerazione che pare Bataille utilizzasse il termine biopolitica molti anni prima di Foucault, più in generale va ricordato come la lettura del suo Nietzsche fu decisiva nella formazione dei maggiori pensatori poststrutturalisti francesi, come Foucault, Deleuze e Derrida. A loro volta essi implicitamente o esplicitamente hanno spesso tentato di far interagire creativamente Marx e Nietzsche. Forse qualcosa del protocollo ibrido Marx-Nietzsche, in chiave politico-resistente, sopravvive poi (in modalità anche molto diverse fra loro) in vari filoni del pensiero critico-politico del tardo Novecento, come l’operaismo di Negri o il post-decostruzionismo di Stiegler e Nancy.

36 G. Bataille, Nietzsche. Il culmine e il possibile, cit., p. 142. La densità di questi passi è conforme allo stile batailliano, che non è indifferente al contenuto che questi esprime. La contrazione e la dilatazione del tempo della lettura, dove a un’apnea segue una respirazione, sono ottenute mediante una scrittura diastolica che replica la forma mobile del tempo della scommessa (il lancio, l’attesa, la caduta): Bataille trasferisce performativamente il tema di cui tratta, ossia il prendere tempo, nella forma scritta.

37Ibid.

38 Cfr. P. Virilio, L’orizzonte negativo. Saggio di dromoscopia, trad. it. di M.T. Carbone, F. Corsi, Costa&Nolan, Genova 1986.

39 Cfr. P. Virilio, L’incidente del futuro, trad. it. di R. Prezzo, Raffaello Cortina, Milano 2002.

40 Il concetto di accelerazione massima, ossia quello di velocità assoluta, viene posto da Virilio esplicitamente in connessione con il concetto di tempo reale, come esemplarmente nel breve testo La velocità assoluta. Qui Virilio sintetizza i punti maggiori della sua posizione degli anni Novanta sulla tecnologia e sul tempo. Non a caso la marcia trionfale del sistema capitalistico verso il tempo reale (tipica forma limite delle tele-tecnologie che disegnano la forma dell’interconnessione globale, ossia dell’essere sempre in presenza, “live”) va di pari passo un’altra figura limite, quella della de-materializzazione del denaro conseguita dai dispositivi digitali di credito. Cfr. P. Virilio, La velocità assoluta, intervista per MediaMente RAI realizzata a Parigi, in occasione del European IT forum, il 5/9/1995, leggibile in <http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/v/virilio.htm#link002>.

41 Il “detto di Anassimandro”, frammento 12 B 1 dei Fragmente der Vorsokratiker, nell’edizione Diels-Kranz, in I presocratici. testimonianze e frammenti, trad. it. di R. Laurenti, Laterza, Roma-Bari 1981, Vol. I, t. 1, p. 106-107, corsivo mio.

42 A.G. Gargani, Il sapere senza fondamenti. La condotta intellettuale come strutturazione dell’esperienza comune, Einaudi, Torino 1975, p. 109.

43 Ivi, p. 108.

44Ibid.

45Ibid.

46Ibid.

47 Ivi, p. 95.

48 Ivi, p. 101.

49 Ivi, p. 108. Il corsivo sulle parole per puro caso è mio.