Giacomo Marramao, La passione del presente

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Giacomo Marramao

La passione del presente.

Breve lessico della modernità-mondo

 

 

Bollati Boringhieri, Torino 2008
pp. 291, euro 10,00
ISBN 977-88-339-1832-7

 

 

 

Nell’odierno mondo globalizzato, con la molteplicità delle linee di conflitto che lo attraversa, il dibattito intellettuale sembra paralizzato dall’aut-aut netto fra il paradigma universal-assimilazionista, che corre il rischio di celare sotto l’ambigua maschera della ragione umana un ormai insostenibile eurocentrismo, e quello differenzial-multiculturalista, che sbocca in un comunitarismo autoriferito, in cui le culture sono sistemi chiusi e non comunicanti.

La costellazione di saggi e interventi di Giacomo Marramao, dal titolo La passione del presente, ha il merito di indicare una via alternativa, molto stretta e pur praticabile, che l’autore chiama universalismo della differenza. Si tratta di una decostruzione radicale del concetto di identità: per andare al di là tanto del modello assimilazionista di una presunta Ragione normativa universale, quanto di quello del Londonistan e dei ghetti contigui, occorre avere il coraggio di postulare possibile (e quindi di realizzare) una nuova sfera pubblica globale, in cui si facciano i conti fino in fondo con il carattere molteplice, processuale, dinamico, narrativo e metamorfico di un Sé, inciso fin dall’inizio dalla presenza dell’altro.

È per questo che Marramao richiama esplicitamente Derrida e la pratica del rispondere, intesa non come rispondere-di, ma come rispondere-a, ossia come disponibilità a lasciarsi mettere in questione dall’altro, a farsi contaminare e trasformare. Questa riflessione, come sottolinea l’autore, riprende i fili del dialeghesthai socratico; Socrate infatti reagisce alla crisi della polis non rifugiandosi nei valori tradizionali, ma sfidando la sofistica sul suo stesso terreno, ossia il linguaggio, e riproponendo la questione della verità «ben oltre ogni sistematica, ‘costruttiva’ visione del mondo – come processo di interna destabilizzazione e rottura dei linguaggi e dei codici tradizionali» (p. 53).

Su questo sfondo teorico Marramao colloca una serie di saggi solo apparentemente extra-vaganti. In Presente. Simbologia del kairòs e sindrome della fretta, con esplicito richiamo a Benveniste, il termine tempus viene considerato come astrattizzazione di lemmi come temperare, temperatura, temperatio, che indicano una miscela fra elementi eterogenei e sarebbe perciò da accostare a kairòs, il quale deriverebbe a sua volta dalla radice indoeuropea krr- , indicante appunto il mescolare e il temperare (keramnymi). Tempus-kairòs sarebbe quindi la “miscela propizia” su cui si staglia l’azione umana.

E proprio all’azione è dedicata la ripresa di Benjamin e del tema del messianesimo, in cui l’atto rivoluzionario si colloca in un Augenblick che scardina il continuum della storia e fa venir incontro un passato che ci rivolge un appello: «siamo noi ad essere attesi dai morti» (p. 128).

Nella stessa prospettiva va il saggio su Marcuse, che, contro la lettura di Adorno, tendente ad occultare il retaggio di Heidegger e a coinvolgerlo nella critica alle filosofie dell’esistenza, rivendica, per il filosofo di Ragione e Rivoluzione, un’ontologia della libertà: la considerazione marcusiana, per cui l’esistenza non è concettualizzabile al di fuori della dialettica storica, sarebbe rivolta al Per-sé sartriano più che al Dasein heideggeriano, che è da sempre gettato non nel nudo isolamento della condizione umana, ma nella storicità della tradizione, nella rete transindividuale dei significati. Ciononostante – obietta Marramao – Marcuse continua ad affidare il ruolo emancipativo alla sola ragione con un deficit ontologico rispetto al concetto di differenza: «contro Marcuse, e per dar voce all’impensato della sua opera, spetta a noi oggi affermare il contrario: solum individuum est effabile» (p. 153).

E con questo torniamo al filo che attraversa tutti questi saggi: quell’universalismo della differenza che occorre riprendere e praticare, contro la falsa alternativa fra assolutismo della ragione e relativismo delle piccole comunità e contro le opposte rigidità identitarie cui essa dà luogo. A muoverci, in altri termini, dev’essere una consapevolezza di fondo: «ci toccherà scrivere con una mano la parola universalità, con l’altra la parola differenza, resistendo alla tentazione di scriverle entrambe con una mano sola, poiché sarebbe comunque la mano sbagliata» (p. 43).